Manca un mese ai referendum sulla cittadinanza e sul lavoro. Tanto l'impegno per promuovere i cinque quesiti da parte delle associazioni, dei partiti e del mondo civile, che spera di vedere raggiunto il quorum. Il voto dell’8 e 9 giugno sarà fondamentale non solo per modificare la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi ormai più di dieci anni fa e per un aggiornamento della legge sulla cittadinanza, ma anche per lanciare un segnale al governo Meloni. Un momento importante, certamente, che assume per certi versi le dimensioni di una sfida all'esecutivo nazionale.
Non resta che superare un solo ostacolo: l'astensionismo. Molti italiani non si recheranno a votare perché non conoscono i contenuti del referendum o non sanno nemmeno che esiste. Il quorum è fissato, come sempre, al 50% + 1: un obiettivo ambizioso ma molto difficile da raggiungere, soprattutto dopo l'ultimo messaggio da parte dei principali leader dei partiti di centrodestra che hanno invitato a non votare.
Un sondaggio dell'istituto Ipsos ha svelato il possibile numero di aventi diritto al voto che si recheranno alle urne l’8 e 9 giugno. Per ora i risultati non sorridono a chi ha promosso il referendum: infatti, a un mese dalle votazioni, non si raggiungerebbe il quorum.
A un mese esatto dalla consultazione referendaria dell’8 e 9 giugno, il panorama politico e sociale italiano si confronta con un appuntamento che, almeno sulla carta, dovrebbe essere centrale per il dibattito pubblico.
In realtà, la partecipazione popolare non è affatto scontata. I cittadini aventi diritto al voto dovranno esprimersi su cinque quesiti referendari. Quattro voci riguardano temi legati al lavoro, in particolare alla sicurezza e ai licenziamenti, mentre il quinto verte invece sul tema dell’acquisizione della cittadinanza italiana, proponendo la riduzione del soggiorno necessario da dieci a cinque anni.
I quesiti che restano sul tavolo hanno tuttavia sollevato dibattiti importanti, soprattutto quello sull’abrogazione del contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, la riforma del lavoro varata dal governo Renzi nel 2016. Proprio questo tema ha creato spaccature interne, in particolare nel Partito Democratico, diviso tra l’esigenza di difendere una riforma del passato e l’apertura a una riflessione critica sull’impatto che ha avuto su lavoratori e imprese. I partiti di centrodestra, invece, sembrano orientati verso l’astensione, strategia che storicamente punta a far fallire il raggiungimento del quorum.
Proprio il quorum rappresenta l’ostacolo più grande. Perché i referendum abrogativi abbiano validità, è necessario che vada a votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. Ma secondo un recente sondaggio Ipsos, la partecipazione stimata si aggira tra il 32% e il 38%, ben al di sotto della soglia. Un dato, dunque, non troppo diverso da quello comunicato qualche giorno fa dal segretario di +Europa, Riccardo Magi, che aveva "preannunciato" questo sondaggio.
Negli ultimi trent’anni, pochi referendum hanno superato il quorum. Nonostante una certa consapevolezza – il 62% degli intervistati sa che i referendum si terranno – resta una fetta consistente (32%) che ne è all’oscuro, mentre un 6% è addirittura convinto che non ci siano consultazioni all’orizzonte. Alla domanda sull’importanza dei temi referendari, la maggioranza degli intervistati riconosce una certa rilevanza: il 33% li ritiene molto importanti, il 20% abbastanza. Ma questa consapevolezza non si traduce automaticamente in volontà di voto. Solo il 28% si dichiara certo di recarsi alle urne, mentre il 15% lo considera probabile.
La reale partecipazione sembra limitata, soprattutto considerando che il coinvolgimento è più alto tra gli elettori di centrosinistra, in particolare PD e M5S, e più basso tra quelli di centrodestra. Quanto agli orientamenti di voto, i “sì” prevalgono in tutti e cinque i quesiti. In particolare, i temi del lavoro raccolgono un consenso quasi plebiscitario, con percentuali che vanno dal 79% all’87% tra i voti validi. Il quesito sulla cittadinanza ottiene invece un consenso più moderato, con il 66% di favorevoli, ma si osserva una forte polarizzazione politica.