I recenti messaggi da parte di esponenti del governo Meloni e delle alte cariche dello Stato sul referendum dell’8 e 9 giugno hanno destato scalpore tra i cittadini. Molte personalità legate a Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega – compreso il presidente del Senato, Ignazio La Russa – hanno invitato il proprio elettorato a boicottare il voto che riguarda quattro quesiti referendari sul lavoro e uno sulla cittadinanza: l’obiettivo è non far raggiungere il quorum (fissato al 50%+1). Una mossa discutibile dal punto di vista istituzionale ma che in passato è già stata messa in atto.
Per vedere un caso simile al boicottaggio del referendum che si voterà tra meno di un mese, bisogna fare un salto indietro nel tempo di circa venti anni: esattamente al 2005. All’epoca i Radicali Italiani, assieme all’Associazione Luca Coscioni e a larga parte del centrosinistra, riuscirono a ottenere un referendum che proponeva di garantire la fecondazione assistita, meno limiti alla ricerca sugli embrioni e la rimozione dell’obbligo di impianto per questi ultimi. Grande attenzione era dedicata anche ai "diritti" dell’embrione.
Il referendum ha attirato l’attenzione della Chiesa cattolica che si è subito attivata per evitare che andasse in porto. Il mondo cattolico infatti preferì non recarsi a votare e il 12 e 13 giugno 2005 passarono alla storia politica come "una vittoria dell’astensionismo".
Oltre venti anni fa, i Radicali Italiani depositarono in Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo che vedeva come tema centrale la fecondazione assistita. Si tratta di una battaglia storica dei Radicali che da anni progettavano la possibilità di un voto che disciplinasse la fecondazione assistita.
Il referendum divenne un’urgenza dopo l’approvazione della legge 40/2004, voluta dal centrodestra, sulla procreazione medicalmente assistita. La norma infatti introduceva diverse restrizioni che, secondo i Radicali e parte del centrosinistra, erano pericolose per la libertà delle coppie. Il referendum conteneva quattro proposte che miravano a:
La Chiesa Cattolica, guidata prima da Papa Giovanni Paolo II e poi da Benedetto XVI, non poteva non esprimersi riguardo a temi così delicati. Già nel febbraio 2004, esattamente quando la proposta veniva depositata in Corte di Cassazione, il tema era arrivato in Vaticano.
L’allora Pontefice Giovanni Paolo II espresse una linea molto conservatrice contro la fecondazione assistita, si riteneva infatti che un bambino dovesse nascere solo tramite matrimonio: altri metodi erano contronatura per gli esponenti cattolici più tradizionalisti. Una linea che sarà confermata anche dal successore Benedetto XVI qualche anno dopo.
A rimuovere ogni dubbio sulla promozione dell’astensionismo, fu il cardinale Camillo Ruini – all’epoca presidente della CEI. A partire da gennaio 2005, Ruini si fece "promotore" di un vero e proprio boicottaggio del referendum voluto dal centrosinistra; nacque anche il comitato "Scienza & Vita" coordinato dai docenti universitari Bruno Dalla Piccola e Paola Binetti: proprio questo movimento fu decisivo nel promuovere l’astensione.
I risultati del lavoro della Chiesa cattolica furono evidenti quando a votare si recò solo il 25,9% degli aventi diritto al voto. Il quorum non fu nemmeno lontanamente sfiorato e il referendum divenne oggetto di analisi sul perché gli elettori non si fossero recati alle urne il 12 e 13 giugno 2005. Mentre la maggior parte degli analisti imputava le colpe alla già crescente astensione e al senso di disillusione creatosi dagli anni ’90 in poi, Ruini disse che il risultato era "frutto della maturità del popolo italiano".
Negli anni a venire il tema è rimasto al centro dei dibattiti ma quella del giugno 2005 resta una ferita aperta per le persone che chiedevano una legislazione più chiara sulla fecondazione assistita. Oggi la storia del referendum di venti anni fa è quanto mai attuale viste le parole del governo italiano sul referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno.