Bailey (Nykiya Adams) è una ragazzina di 12 anni dal carattere forte e testardo. Vive in un appartamento fatiscente, occupato abusivamente dal padre Bug (Barry Keoghan), insieme al fratellastro Hunter (Jason Buda), nel Kent, una contea a sud-est di Londra. Benché in casa regni il caos e le condizioni igieniche non siano delle migliori, c’è qualcosa che rende davvero affascinante quelle mura domestiche ricoperte di crepe e di murales; un po’ come il cuore di Bailey, così giovane è già pieno di cicatrici, ma vivace e salterino come un piccolo grillo.
Il papà l’ha portata via dalla villetta della madre Peyton (Jasmine Jobson), strappandola a una realtà di abusi, dove viveva insieme ad altri tre fratellastri ancora troppo piccini per sapersi difendere. Spesso torna a trovarli dove li sorprende, ogni volta, abbandonati a loro stessi, mentre la madre dorme tutto il giorno, insieme al compagno Skate (James Nelson-Joyce), violento e alcolizzato. Bailey è bellissima e cocciuta, dall’indole indipendente, schiva e solitaria, ribelle e molto intelligente, con un talento innato per la regia: è solita registrare splendidi video amatoriali con lo smartphone. Riprende persone, animali, le sue adorate farfalle, scene di vita quotidiana, trascinata da un istinto puro e acerbo, senza aver mai studiato.
Ma il nuovo legame sentimentale, nato da appena tre mesi, di Bug con la fidanzata Kayleigh (Frankie Box), che a sua volta ha una bimba di circa due anni e mezzo, avuta da un’altra relazione, fa sentire Bailey trascurata dal padre. L’inaspettata notizia che fra solo cinque giorni si sposeranno l’addolora, portandola ad allontanarsi sempre più da casa. Si sente tradita e in questo smarrimento esistenziale subentrerà, inoltre, l’arrivo della prima mestruazione, generando riflessioni e paure adolescenziali. Durante una delle sue tante fughe conoscerà così Bird (Franz Rogowski), uno strano ragazzo amante dei volatili e delle altezze, dallo sguardo gentile e con il cuore ricolmo d’amore, che soffre di amnesia e non è capace di ricordare il suo passato. Fra i due nascerà una tenera amicizia che salverà le vite di entrambi.
Quando, poche settimane fa, ho visto il trailer di “Bird”, il nuovo lungometraggio della regista, sceneggiatrice e attrice britannica Andrea Arnold, benché avesse colto la mia attenzione, non sapevo bene che cosa aspettarmi. Ma giovedì scorso sono comunque entrata in sala entusiasta e già dalle prime immagini gli occhi hanno iniziato a brillarmi, un po’ per la tristezza dei forti contesti di abuso che mi sono ritrovata davanti e un po’ per la bellezza delle immagini di grande fascino. Devo confessare che da sempre sono stata attratta e colpita dalle storie che raccontano il vissuto dei bambini infelici, abusati, abbandonati a loro stessi, non avendo avuto io un’infanzia serena e delle figure genitoriali stabili. Per quanto l’argomento mi trafigga e di conseguenza mi commuova all’istante, è come se non riuscissi a farne a meno: c’è una sorta di richiamo che mi spinge verso quel tipo di narrazione.
Ormai, si sa, la Arnold non è una che ha molte riserve nello spiattellarti la verità in faccia in modo crudo, ruvido e brutale, ma in questo film il dolore e la rabbia si alternano con delicatezza a una gradevolezza estetica che ricorda la stupenda eleganza delle farfalle. Tra l’altro amate proprio dalla protagonista, un dettaglio che contrasta col suo carattere duro e a tratti da maschiaccio. Certo, durante la pellicola la regista dipinge un ritratto aspro e rigidamente critico non soltanto delle famiglie appartenenti alle realtà popolari, di povertà e di scarsa istruzione, lasciandoti una sensazione soffocante priva di ogni speranza, ma anche dei servizi sociali che parrebbero inesistenti. All’inizio il papà Bug, interpretato dall’attore Barry Keoghan, quasi lo detesti, vedendolo come un cretino, immaturo, incapace di fare il genitore. Un eterno sognatore, innamorato dell’amore superficiale, a discapito dei figli. Ma man mano che il racconto procede, finisci col pensare che forse lui è il male minore e che, malgrado tutto, sia davvero affezionato a Bailey e Hunter.
A ogni modo, io non sono affatto un'estimatrice del genere di fantascienza, che invece subentra verso la fine. Però qui non mi ha disturbata, trovando il dettaglio fantascientifico una metafora calzante per rappresentare il concetto di salvezza fiabesca a suggellare in modo indelebile il toccante rapporto fra Bird e Bailey, due ragazzi di età differenti, ma accomunati dalla sofferenza e dalla mancanza di amore materno e paterno. Tre virgola nove stelle su cinque.