Solo qualche giorno fa, il presidente del Senato Ignazio La Russa – seconda carica dello Stato – ha detto che non voterà al prossimo referendum su lavoro e cittadinanza che si terrà l’8 e il 9 giugno. Una decisione in linea con i principali partiti di governo e ribadita anche da altri leader del centrodestra. Questa scelta, tuttavia, ha provocato non poche polemiche da parte del centrosinistra che ha additato il governo di promuovere l’astensionismo in un momento storico in cui si cerca di riportare gli italiani alle urne.
Promuovere l’astensione è stato fatto passare come un atto grave contro la democrazia, quasi come fosse un reato. Tuttavia, è necessario contestualizzare: il referendum prevede un quorum (50%+1) e se non si arrivasse alla metà degli aventi diritto al voto più uno alle urne, i quesiti sono da ritenersi bocciati. L’azione del governo è principalmente contro il quesito sulla cittadinanza, ritenuto, per certi versi, pericoloso per la stabilità dell’esecutivo nazionale.
In passato, però, esiste un precedente di "promozione dell’astensionismo" - almeno così fu denunciato - da parte dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e poi da parte dell’allora premier Matteo Renzi per quanto riguarda il referendum del 2016 con oggetto l’abrogazione della disposizione con cui la durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in zone di mare.
Bisogna tornare indietro nel tempo di nove anni per trovare un caso non troppo dissimile a quello del governo Meloni, che ha invitato le persone a non votare per il referendum sulla cittadinanza e sul lavoro. Nel 2016, infatti, si è tenuto il referendum abrogativo riguardante la durata delle concessioni per estrarre idrocarburi in zone marittime.
All’epoca una gran parte di esponenti della sinistra ecologista si attivò per promuovere una campagna referendaria tale da poter raggiungere il quorum. All’epoca sembrò clamorosa un’intervista dell’ex presidente Giorgio Napolitano su Repubblica, dove disse che se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare sarebbe un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria. La risposta dell’ex Capo di Stato passò come un invito a non votare.
Alla voce autorevole di Napolitano si aggiunse quella dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, non troppo convinto del referendum e delle intenzioni di chi sarebbe andato al voto il 17 aprile 2016. L’allora premier disse che non sarebbero stati vietati nuovi impianti e che attorno all’iniziativa si era creata una vera e propria bufala sulle trivellazioni.
Poi l’ex presidente del Consiglio ha citato Napolitano:
Più che una promozione all’astensione, questa sembra essere una legittimazione. Sia Napolitano che Renzi ritenevano, infatti, che in questo caso non recarsi al voto fosse una scelta giusta. Il referendum sulle trivelle naufragò poiché si recò alle urne solo il 31% degli aventi diritto. L’attuale leader di Italia Viva ha detto nella giornata di oggi in un’intervista a La Stampa che astenersi è legittimo.
Mentre il centrosinistra sta cercando in tutti i modi di raggiungere il quorum, il governo sta scoraggiando a recarsi alle urne. Già negli scorsi giorni Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno lanciato un chiaro messaggio sulla partecipazione al referendum: al posto di votare no, è stato indicato di non recarsi alle urne così da non permettere il raggiungimento del quorum.
Oggi queste dichiarazioni fanno scalpore principalmente per la forte tendenza in Italia a non votare. Basti pensare alle scorse elezioni europee o alle regionali.