Non è nemmeno passata una settimana dall'elezione di Robert Francis Prevost a nuovo Pontefice, ma già sono evidenti i segnali di discontinuità che arrivano dal Vaticano rispetto ai dodici anni di Bergoglio.
Il primo è stato senz'altro sul fronte ucraino. Papa Francesco, dopo l'invasione russa del 24 febbraio 2022, ha sempre avuto una posizione di sostanziale neutralità. Anzi, più volte, ha ceduto al Cremlino, come quando accusò Kiev di non avere il coraggio "di alzare bandiera bianca" e arrendersi. Papa Leone, invece, ha subito fatto capire da che parte sta. Ha subito avuto un colloquio riservato con Zelensky e magari uno dei suoi primi viaggi apostolici sarà proprio in Ucraina, laddove il suo predecessore non ha mai voluto andare.
Il secondo segnale di discontinuità Prevost, invece, l'ha segnato sull'altro fronte di guerra: quello di Gaza. Bergoglio, nel libro dedicato al Giubileo, aveva invitato a indagare se si trattasse di un "genocidio". Cosa che, evidentemente, aveva fatto precipitare ai minimi storici i rapporti tra la Curia romana e le comunità ebraiche, in primis quella di Roma.
Per questo, ieri, Leone ha scritto al Rabbino capo della capitale: evidentemente, vuole rimettere a posto le cose, restaurare un buon rapporto. E magari tornare a chiamare le cose con il loro nome nel tentativo di risolverle, senza cedere a populismi e con la necessaria lucidità.
Insomma: le parole sono pietre. E sono quanto mai importanti per riconoscere i problemi e giungere a una vera pace che, come ha ribadito anche stamattina nel discorso alle Chiese orientali da Papa Leone, "non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita".
Nemmeno sette giorni per archiviare una stagione lunga 12 anni. Papa Leone XIV ha voluto subito imprimere un nuovo corso nella politica internazionale del Vaticano. Stamattina ha ribadito la volontà mediatrice del Vaticano:
Ma già nei giorni scorsi ha avuto modo, a differenza del suo predecessore, di marcare una vicinanza vera all'Ucraina, invasa e martoriata dalla Russia da oltre tre anni.
Nel corso del Regina Coeli di domenica, Prevost ha svelato "il cuore sofferente per l'amato popolo ucraino".
Nelle stesse ore, poi, il video di un'intervista che concesse nell'aprile 2022 da vescovo di Chiclayo nella quale utilizzava parole quanto mai chiare su ciò che stava accadendo a Kiev è stato rivelatore:
Ma Prevost, all'indomani del massacro di Bucha, si spinse anche oltre:
disse mentre Bergoglio, con i bombardamenti, i massacri e i rapimenti di migliaia di bambini in corso, faceva riferimento "all'abbaiare della Nato" alle porte della Russia che a suo avviso avrebbe provocato la reazione di Mosca; spendeva parole di apprezzamento per "la grande Madre Russia" e i suoi leader storici Pietro il Grande e Caterina II; compativa la figlia del filosofo di Putin, Dugin, uccisa in un attentato; quasi rimproverava agli ucraini di non "alzare bandiera bianca".
Tutte parole che, evidentemente, quantomeno hanno raffreddato i rapporti tra Santa Sede e Kiev.
Sta di fatto che a novembre 2024, con Papa Francesco, i rapporti diplomatici della Santa Sede precipitarono anche con le comunità ebraiche. Lo fecero non appena furono resa pubblica un'anticipazione del libro di Bergoglio sul Giubileo, “La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore”. Il passaggio incriminato fu questo:
Beh, evidentemente no perché il genocidio, sia dal punto di vista etimologico che di diritto, si riferisce a un massacro di un popolo in quanto tale. Invece, a Gaza, i massacri si registrano in quanto la popolazione è utilizzata da scudo umano da Hamas, l'organizzazione terroristica che ha nel suo statuto la cancellazione di Israele e che si è resa responsabile del pogrom del 7 ottobre 2023, l'episodio che ha scatenato la reazione militare del governo Natanyahu.
Questo passaggio, se non era condiviso da Papa Francesco, è stato, evidentemente, fatto proprio dal suo successore, Leone.
Da vescovo di Roma, Prevost per ricucire i rapporti, si è subito preoccupato di mandare un messaggio al Rabbino capo Riccardo Di Segni nel quale si impegna "a continuare e a rafforzare il dialogo e la cooperazione della chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II".
Di cosa si tratta? Di un documento di Paolo VI sulla bozza di Giovanni XXIII con il quale la Chiesa cattolica "nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni". E gli ebrei, in particolare, vengono riconosciuti "carissimi a Dio".
Insomma, la volontà del nuovo corso vaticano è di far tornare il dilogo con "i fratelli maggiori", per citare un altro Papa, Giovanni Paolo II, quando, nel 1986, si rese protagonista della prima, storica visita di un pontefice in una Sinagoga.
Ora: parole di fratellanza, a dire il vero, furono ripetute anche da Papa Francesco nel 2016, quando anche lui andò alla Sinagoga di Roma. Ma ciò non toglie che la comunità ebraica di Roma abbia fatto sapere:
Su tutti, il riferimento al "genocidio" e l'assimilazione di un intero popolo alle responsabilità del suo governo. Con Papa Leone, rerum novarum.