Il 5 giugno 2025, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un nuovo e discusso decreto che vieta l’ingresso negli USA ai cittadini di dodici Paesi. La misura, che entrerà in vigore il 9 giugno, rappresenta uno dei provvedimenti più drastici in tema di immigrazione e sicurezza nazionale degli ultimi anni, riaccendendo il dibattito su diritti, legalità e rapporti internazionali.
Secondo quanto comunicato ufficialmente dalla Casa Bianca, il divieto riguarda i cittadini di questi 12 Stati:
Questi Paesi sono stati inseriti nella cosiddetta “lista nera” in seguito a valutazioni sulla sicurezza nazionale, la collaborazione con gli Stati Uniti in materia di rimpatri e il livello di controllo sui propri cittadini.
Il presidente Trump ha giustificato la decisione citando motivi di sicurezza nazionale, in particolare dopo il recente attentato antisemita avvenuto a Boulder, in Colorado. L’attentatore, secondo le autorità, sarebbe entrato nel Paese illegalmente, sollevando preoccupazioni sulla capacità degli Stati Uniti di controllare efficacemente chi arriva da Paesi considerati a rischio. Trump ha dichiarato che molti degli Stati colpiti dal ban presentano “gravi lacune nei sistemi di controllo e screening” e spesso rifiutano di collaborare con le autorità americane per il rimpatrio dei propri cittadini espulsi.
Nel comunicato ufficiale si legge che la misura è stata adottata per “proteggere il Paese da terroristi stranieri e altre minacce alla sicurezza nazionale”. La Casa Bianca ha inoltre sottolineato che il provvedimento si applica sia ai migranti che ai non migranti, ovvero anche a chi viaggia per motivi di studio, turismo o affari.
Oltre ai dodici Paesi soggetti al blocco totale, il decreto prevede restrizioni parziali per altri sette Stati: Burundi, Cuba, Laos, Sierra Leone, Togo, Turkmenistan e Venezuela. In questi casi, non si tratta di un divieto assoluto, ma di limiti più stringenti all’ottenimento di visti e permessi di ingresso. Cuba viene definita uno “sponsor del terrorismo”, mentre il Venezuela è accusato di non disporre di un’autorità centrale affidabile per il rilascio di documenti e per la verifica dell’identità dei cittadini.
Il nuovo provvedimento ricorda i controversi “travel ban” adottati da Trump durante il suo primo mandato, che avevano colpito inizialmente sette Paesi a maggioranza musulmana e poi erano stati estesi ad altri Stati africani e asiatici. Quelle misure furono oggetto di aspre critiche e di una lunga battaglia legale, ma vennero infine confermate dalla Corte Suprema nel 2018. Nel 2021, il successore di Trump, Joe Biden, aveva revocato i travel ban, definendoli “una macchia sulla coscienza nazionale”.
Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, la politica migratoria degli Stati Uniti subisce dunque una nuova svolta restrittiva, che va oltre la semplice questione dei flussi migratori e si inserisce in una strategia più ampia di rafforzamento dei controlli alle frontiere e di ridefinizione delle alleanze internazionali.
Le reazioni al decreto non si sono fatte attendere. Da un lato, alcuni alleati di Trump hanno applaudito la misura come necessaria per garantire la sicurezza degli americani. Dall’altro, numerose organizzazioni per i diritti umani, esponenti politici e leader internazionali hanno espresso preoccupazione per le possibili conseguenze umanitarie e per l’impatto sui rapporti diplomatici con i Paesi colpiti.
In particolare, la sospensione dei visti per studenti stranieri diretti ad Harvard ha suscitato proteste nel mondo accademico, che accusa l’amministrazione di voler colpire la libertà di pensiero e la cooperazione internazionale.