In un'era dominata dalla connettività perenne, dove lo smartphone è diventato un'estensione del nostro braccio e i social media un'arena costante di confronto e informazione, sta emergendo un fenomeno contro-corrente, sorprendentemente abbracciato dalla generazione più digitalmente nativa: la Generazione Z. Il digital detox, ovvero la disconnessione volontaria e temporanea dai dispositivi digitali, sta passando da pratica di nicchia a vera e propria tendenza sociale, specialmente tra i giovani nati tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2010.
La Gen Z è cresciuta con Internet a portata di mano, ha imparato a leggere e a interagire in un mondo plasmato dalla digitalizzazione. Sono i maestri dei social media, i pionieri di nuove piattaforme e i consumatori più voraci di contenuti online. Eppure, proprio questa esposizione costante e spesso eccessiva sta portando a un'insospettabile saturazione. Non è raro che i giovani di questa generazione esprimano sensazioni di ansia, FOMO (Fear Of Missing Out) o doomscrolling (la tendenza a scorrere notizie negative all'infinito), problemi di sonno e una generale difficoltà a concentrarsi, tutti sintomi spesso correlati a un uso eccessivo della tecnologia. È da qui che nasce la necessità, e poi la tendenza, di staccare la spina.
Il fatto che la generazione più immersa nel digitale stia scegliendo attivamente di disconnettersi è un segnale potente. Non si tratta di un rifiuto totale della tecnologia, ma di una ricerca di equilibrio, di un uso più intenzionale e meno compulsivo. La Gen Z, con la sua innata capacità di adattamento e innovazione, sta dimostrando che è possibile vivere nell'era digitale senza esserne completamente schiavi. Questa tendenza potrebbe influenzare le future generazioni e spingere le stesse aziende tecnologiche a sviluppare funzionalità che promuovano un uso più sano e consapevole dei loro prodotti. Il digital detox non è più solo una pratica individuale, ma una vera e propria affermazione sociale sulla necessità di recuperare il controllo del proprio tempo e della propria attenzione in un mondo sempre più connesso.
A cura di Federica De Carolis