Sono passati 35 anni dal giorno in cui Simonetta Cesaroni, 20 anni, fu trovata senza vita nell'ufficio in cui lavorava in via Carlo Poma, a Roma. Era il 7 agosto 1990. Nonostante le indagini - e i numerosi appelli dei familiari per la verità -, ad oggi il suo caso resta un mistero, come l'identità dell'assassino.
Simonetta Cesaroni lavorava come segretaria per lo studio commerciale Reli sas, in zona Casilina, occupandosi anche della contabilità dell'AIAG (l'Associazione Italiana degli Alberghi della Gioventù). Il 7 agosto 1990 si recò in ufficio - in via Carlo Poma, a Roma - per sbrigare delle pratiche, ma non fece più ritorno a casa.
Fu trovata senza vita la sera stessa, dopo che la sorella Paola e il suo allora fidanzato si erano messi a cercarla, preoccupati. Il suo corpo era completamente nudo e presentava segni di violenza: l'autopsia avrebbe stabilito che era stata colpita per 29 volte con un oggetto affilato. Forse, si sarebbe detto dopo, un tagliacarte.
Le indagini partirono subito. I sospetti, in particolare, si concentrarono su Pietrino Vanacore, portiere dello stabile. Tre giorni dopo il ritrovamento del cadavere, l'uomo venne arrestato: si scoprì solo qualche settimana più tardi che aveva un alibi. A quel punto fu scarcerato, ma la sua reputazione - ormai - era rovinata.
Oltre a Vanacore, fu attenzionato dalle indagini anche Federico Valle, nipote di un famoso architetto che risiedeva in via Poma, tirato in ballo dalle dichiarazioni di Roland Voller, amico della madre, secondo cui il giorno dell'omicidio era tornato dallo stabile sporco di sangue. Ma anche lui - come il primo - venne definitivamente prosciolto da ogni accusa.
Nel 2006 nuove analisi su alcuni vestiti appartenuti alla vittima - i calzini, il corpetto e il reggiseno - rilevarono tracce di saliva dell'ex fidanzato, Raniero Busco, il cui nome fu quindi iscritto nel registro degli indagati. Nel 2010, l'uomo fu rinviato a giudizio.
Vanacore, che avrebbe dovuto testimoniare in aula, si tolse la vita in un albergo di Taranto, lasciando ai posteri un biglietto con scritto: "Vent'anni di sospetti ti portano al suicidio". Un mistero nel mistero, proprio mentre il caso sembrava avviarsi a una risoluzione.
Nel 2011, Busco fu condannato in primo grado a 24 anni di reclusione. La sentenza, tuttavia, fu ribaltata in Appello l'anno successivo. Diventando definitiva nel 2014, quando venne confermata dalla Cassazione.
Da allora, sulla vicenda sembrava essere calato il silenzio. Poi, nel 2022, sulla base di un esposto presentato dai familiari di Simonetta, la Procura di Roma aveva deciso di tornare a indagare, sollevando dubbi sulla figura di Francesco Caracciolo Di Sarno, presidente dell'AIAG. La sua posizione, alla fine, fu archiviata.
Si era trattato - scrissero in molti - di una "suggestione". Come quella che recentemente ha riguardato Mario Vanacore, figlio di Pietrino, messo inutilmente alla gogna. Possibili sviluppi potrebbero arrivare dall'inchiesta voluta dalla gip Giulia Arcieri, che lo scorso dicembre ha ordinato nuovi approfondimenti.
Tra le ipotesi emerse, quella che nello studio di via Poma in cui la 20enne lavorava fossero conservati documenti riservati dei servizi segreti. La loro protezione, in pratica, potrebbe aver influenzato le indagini, deviando la scoperta della verità.
Una trentina, in tutto, le persone che la Procura ha chiesto di sentire, tra vecchi protagonisti e altri mai ascoltati prima. Tra loro anche Carmine Belfiore, ex questore di Roma e numero due della polizia, all'epoca alla Digos, e Sergio Costa, ex 007 e genero dell'allora capo della polizia Vincenzo Parisi. Chissà che non si possa così arrivare a chiudere finalmente il cerchio.
Le dichiarazioni di Paola Cesaroni in un'intervista rilasciata alla trasmissione Rai "Storie di Sera" il 5 maggio 2025.