La politica siciliana, in piena estate, torna a infiammarsi. Non bastassero caldo torrido, incendi e problemi idrici, adesso ci si mette anche la battaglia sui porti della Sicilia occidentale. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha deciso di nominare Annalisa Tardino, avvocata ed ex eurodeputata leghista, commissaria straordinaria dell’Autorità di sistema portuale che gestisce scali cruciali come Palermo, Trapani e Porto Empedocle. Una mossa che ha fatto scattare la reazione furiosa del presidente della Regione, Renato Schifani.
Il governatore ha annunciato un ricorso immediato al TAR, convinto che la decisione violi sia la legge che il buon senso. Due, secondo lui, i punti deboli: nessuna preventiva intesa con la Regione, come le norme prevedono, e un curriculum della Tardino giudicato troppo leggero per un incarico tanto delicato. Così, proprio nel cuore di agosto, si è aperta una nuova frattura tra Palazzo d’Orléans e il Viminale. E non una frattura qualunque, ma uno scontro che mette a nudo le tensioni tra alleati di governo e riporta in primo piano un tema antico: chi decide davvero in Sicilia, Roma o Palermo?
Per Schifani, la partita non è solo politica ma istituzionale. Nei suoi ragionamenti, il nodo è chiaro: i porti sono infrastrutture strategiche e non si può gestirli con scelte calate dall’alto, senza neppure un confronto con la Regione. È una questione di metodo, di rispetto delle regole e, forse, anche di orgoglio autonomista. Ma è pure una questione di merito: Pasqualino Monti, predecessore della Tardino, era considerato un manager di altissimo profilo, con anni di esperienza alle spalle e incarichi di prestigio nel settore portuale e logistico.
Sostituirlo con un’ex parlamentare europea, priva di esperienza diretta in questo campo, è apparso a molti come un salto indietro. Ecco perché il presidente siciliano ha scelto la linea dura, decidendo di impugnare subito l’atto ministeriale.
Una mossa che non passa inosservata, perché rompe gli equilibri interni al centrodestra: non capita spesso che un governatore contest i così apertamente un ministro dello stesso schieramento.
Salvini, dal canto suo, non ha battuto ciglio. Anzi, ha rilanciato con il suo stile diretto, spiegando che la Tardino risponde pienamente ai requisiti previsti dalla normativa e che già nei prossimi giorni sarà operativa nel suo nuovo ufficio. “Meno chiacchiere e più fatti”, è il messaggio implicito del leader leghista, che respinge al mittente l’accusa di “poltronificio”.
Secondo lui, la nomina non è un favore politico ma una scelta legittima, come già avvenuto in altre regioni italiane. L’obiettivo dichiarato è dare continuità al lavoro dei porti siciliani, senza restare impantanati in polemiche e resistenze. Dietro la fermezza di Salvini, però, si intravede anche una sfida politica: quella di dimostrare che il ministero delle Infrastrutture mantiene il controllo sulle grandi partite strategiche, anche in territori dove la sensibilità autonomista è forte. Ma così facendo, inevitabilmente, ha acceso una miccia che rischia di far esplodere il malcontento, non solo dentro la maggioranza ma anche nell’opinione pubblica locale.
L’opposizione, intanto, ha trovato terreno fertile per attaccare. Il segretario regionale del Partito Democratico, Anthony Barbagallo, ha parlato di “nomina estiva da poltronificio”, accusando Salvini di usare la Sicilia come terreno di scambio politico. Il Movimento 5 Stelle è stato ancora più duro, sottolineando come la decisione sia arrivata “col favore delle tenebre e del Ferragosto”, mentre i cittadini erano distratti dal caldo e dalle vacanze. Per i pentastellati, il problema è soprattutto di merito: la Tardino non ha esperienza nel settore portuale, e la sua designazione sarebbe l’ennesimo premio alla fedeltà politica piuttosto che al merito.
Sullo sfondo restano le difficoltà croniche dell’isola, dai trasporti alla gestione delle emergenze estive, e l’amara sensazione che le priorità della politica siano altrove. Lo scontro Salvini-Schifani, insomma, non è solo una questione di nomine: è il simbolo di una Sicilia che continua a essere campo di battaglia, più che laboratorio di soluzioni. E la vicenda dei porti rischia di diventare l’ennesima prova che, sull’isola, ogni scelta passa prima da un conflitto politico, poi — forse — dall’interesse dei cittadini.