I lavori per la Legge di Bilancio 2026 si fanno sempre più intensi e, una delle principali proposte, oltre che obiettivo del Governo, è il taglio dell’Irpef per il ceto medio.
Per un costo molto alto, la promessa di una riduzione dell’imposta dal 35% al 33% per i redditi fino a 60.000 euro rappresenta una delle priorità per il prossimo anno.
Allora, in questo articolo andremo a spiegare come funziona l’Irpef oggi e cosa cambierebbe con la nuova proposta, i costi da sostenere per la riduzione della pressione fiscale sul ceto medio e quanto risparmierebbe davvero la categoria interessata.
In vista della prossima Legge di Bilancio 2026 si iniziano a intravedere più chiaramente quali sono le priorità, gli obiettivi e le aspettative del Governo tramite una lunga serie di proposte e ipotesi.
Sul piatto ritorna la proposta del taglio dell’Irpef, con l’obiettivo di ridurre la pressione fiscale sul ceto medio e migliorare le possibilità di acquisto.
La riforma dell’Irpef, prevista dalla legge delega, è stata solo parzialmente attuata. A partire dal 2024, infatti, le aliquote sono scese a tre per via dell’accorpamento dei primi due scaglioni in un’unica aliquota al 23% per i redditi fino a 28.000 euro.
Questo, però, non è sufficiente e il Governo punta a un’ulteriore sforbiciata che dovrebbe andare a favore del ceto medio. La seconda riforma, in particolare, dovrebbe prevedere la riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33% e, al contempo, l’aumento della fascia di reddito che passerebbe dagli attuali 50.000 euro a 60.000 euro.
Una proposta tanto ambiziosa quanto costosa. Infatti, il costo di questa misura si aggira attorno ai 4 miliardi di euro l’anno. Naturalmente, il costo è variabile anche a seconda della soglia definitiva, ovvero se 50.000 euro o 60.000 euro. Si tratta, comunque, di una cifra importante che richiede un’attenta valutazione.
Il nodo, difficile da sciogliere, riguarda proprio il reperimento delle risorse. In un primo momento si puntava (quasi) interamente sul concordato preventivo biennale. Tuttavia, su questa misura sono state riposte forse troppe speranze.
Il patto con il fisco non è piaciuto come sperato perché hanno aderito solo una minoranza delle potenziali Partite Iva interessate.
Si deve pensare che le risorse devono coprire molte misure, tra cui l’Ires premiale per le imprese: ricordiamo si tratta di una misura sperimentale che è stata introdotta per ridurre l’imposta sui redditi delle società che investono e assumono.
Tra le altre proposte in pentola ci sono anche la detassazione degli straordinari, dei festivi e dei premi di produzione, oltre che la rottamazione quinquies delle cartelle esattoriali.
Il taglio dell’Irpef non agevolerebbe tutti, bensì solo coloro che guadagnano oltre 29.000 euro. Si tratterebbe comunque di circa il 76% che, a conti fatti, sarebbero anche coloro che pagano la maggior parte dell’Irpef.
Da questo punto di vista, quindi, la misura dovrebbe essere conveniente per molti. Bisogna, però, mettere mano alla calcolatrice per capire quanto, di fatto, si andrebbe a risparmiare. La misura interessa la più ampia fascia del ceto medio e, secondo le simulazioni, può garantire un risparmio annuo fino a 1.440 euro per chi si colloca nella parte più alta dello scaglione. Per chi guadagna 50.000 euro, il vantaggio sarebbe invece di circa 440 euro all’anno.
Si tratta di un impegno importante che porterebbe benefici a fronte di una spesa ingente per i conti pubblici. Sul banco di prova finisce il precario equilibrio tra stimolo alla domanda interna e sostenibilità fiscale, nell’ottica di dare al ceto medio l’attenzione che merita, la centralità promessa.