Sergio Mattarella ha da poco superato la metà del suo secondo mandato. Rieletto nel febbraio 2022, resterà al Quirinale fino al 2029, accompagnando l’Italia in anni complessi, tra sfide economiche, equilibri internazionali e la necessità di riforme interne. La sua figura, riconosciuta da più parti come garanzia istituzionale, continua a rappresentare un punto di riferimento nel panorama politico nazionale.
Eppure, come sempre accade con la più alta carica dello Stato, il dibattito sul “dopo Mattarella” è già iniziato. Non si tratta soltanto di curiosità politica, ma di una riflessione concreta sulle dinamiche parlamentari. L’elezione del Presidente della Repubblica, infatti, non è mai un atto solitario, ma il risultato di equilibri tra maggioranze e minoranze, alleanze e rapporti di forza.
Guardando ai numeri attuali, emerge un dato significativo: con l’attuale Parlamento e con i delegati regionali, il centrodestra disporrebbe della maggioranza assoluta necessaria per eleggere autonomamente il prossimo Capo dello Stato. Un elemento che, se confermato nel tempo, cambierebbe radicalmente le dinamiche di un’elezione che in passato ha sempre richiesto mediazioni complesse.
L’elaborazione dei dati realizzata da YouTrend su Camera, Senato e delegati regionali parla chiaro. Il centrodestra conta attualmente 393 grandi elettori su un totale di 663. Una cifra che va ben oltre la soglia dei 332 voti necessari dal quarto scrutinio per eleggere il Presidente della Repubblica. Nei primi tre scrutini, come previsto dalla Costituzione, servono i due terzi dell’assemblea, cioè 442 voti. Ma già dal quarto in poi, la maggioranza richiesta diventa assoluta: ed è lì che il centrodestra, almeno sulla carta, avrebbe la possibilità di decidere in autonomia.
Il centrosinistra, invece, si ferma a 248 grandi elettori, mentre gli “altri” – un insieme eterogeneo che comprende minoranze linguistiche, senatori a vita e rappresentanti di liste locali – raggiungono quota 22. Numeri che lasciano intuire come, senza una convergenza trasversale, le possibilità di influire sul risultato restino limitate.
Naturalmente, la politica insegna che le cifre da sole non bastano. Le dinamiche interne ai partiti, i rapporti di forza tra leader e le strategie di lungo periodo possono cambiare molto. Ma il punto di partenza, per la prima volta da anni, sembra favorire un campo politico in maniera netta.
Se questa configurazione dovesse mantenersi fino al 2029, il centrodestra avrebbe davanti a sé una possibilità storica: portare al Quirinale un proprio candidato senza dover trattare con il centrosinistra. Sarebbe una novità significativa, perché nelle elezioni presidenziali del passato l’accordo tra i due poli è sempre stato quasi obbligato, come dimostrano le rielezioni di Napolitano e Mattarella, o ancora prima la scelta condivisa di Ciampi.
Tuttavia, questa prospettiva apre anche interrogativi delicati. Un Presidente della Repubblica eletto da una sola parte politica potrebbe essere percepito come meno “super partes”, con il rischio di incrinare quel ruolo di garante dell’unità nazionale che la Costituzione attribuisce alla carica. Per questo, anche in presenza dei numeri, non è scontato che il centrodestra scelga la via solitaria: la ricerca di una figura di alto profilo condivisa, capace di parlare a tutto il Paese, resta una strada percorribile e forse preferibile sul piano istituzionale.
Mattarella ha superato la metà del suo secondo settennato proprio in queste settimane: è stato infatti rieletto a febbraio 2022 e resterà in carica fino a febbraio 2029.
— Youtrend (@you_trend) September 5, 2025
Con il Parlamento attuale, il centrodestra avrebbe i numeri per eleggere il Presidente della Repubblica in… pic.twitter.com/b6W6S7AIbm
Va comunque ricordato che la prossima elezione presidenziale è ancora lontana: mancano più di tre anni e mezzo, un tempo in politica che equivale a un’eternità. Le elezioni politiche del 2027 potrebbero ridisegnare completamente la mappa parlamentare e con essa i rapporti di forza al momento del voto. Allo stesso modo, eventuali cambi di maggioranza nelle Regioni influirebbero sulla composizione dei delegati regionali.
Quel che è certo è che i numeri odierni restituiscono un’immagine chiara: mai come questa volta il centrodestra si trova nella posizione di poter determinare il futuro inquilino del Colle. Che lo faccia da solo o cercando un accordo più ampio, sarà il tempo a dirlo. Intanto, la discussione è aperta, e continuerà ad accompagnare il dibattito politico italiano nei prossimi anni, fino al giorno in cui si apriranno le urne a Montecitorio per eleggere il successore di Sergio Mattarella.