06 Sep, 2025 - 14:30

Quanto costano i Neet all'Italia? Ecco cosa dicono i numeri presentati al Forum Ambrosetti

Quanto costano i Neet all'Italia? Ecco cosa dicono i numeri presentati al Forum Ambrosetti

Non studiano, non lavorano e, in molti casi, non cercano nemmeno un’occupazione. Sono i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni che rientrano nella categoria dei Neet (Not in Education, Employment or Training), e la loro presenza crescente sta diventando un problema serio per il Paese. Oltre 1,4 milioni di ragazzi e ragazze vivono questa condizione, che pesa non solo sulle loro vite ma anche sull’economia e sulla società.

L’Italia è il secondo peggior Paese in Europa per incidenza dei Neet, con un tasso del 15,2%, molto sopra la media europea dell’11% e lontano dall’obiettivo Ue del 9% fissato per il 2030. A essere più colpite sono le giovani donne e le regioni meridionali, spesso con bassi livelli di istruzione.

Dietro queste cifre ci sono storie di speranze sospese e opportunità mancate, un fenomeno che rischia di fermare il futuro prima ancora che inizi.

Il costo economico dei Neet

Il fenomeno dei Neet pesa anche sulle casse dello Stato. Secondo i dati presentati al forum di The European House Ambrosetti, l’Italia spende circa 24,5 miliardi di euro all’anno a causa dei giovani inattivi, quasi quanto la manovra finanziaria del 2025, costata 28,4 miliardi.

In Europa, il costo complessivo supera i 114 miliardi. A soffrire di più sono le regioni meridionali, dove si concentra il 46% dei Neet, mentre le giovani donne rappresentano il 69% dei casi. Non si tratta solo di numeri: sono vite sospese, talenti che rischiano di essere persi, sogni che faticano a trovare terreno fertile.

La fotografia è chiara e preoccupante: il Paese sta sprecando risorse preziose e rischia di pagare un prezzo alto per la mancata integrazione dei giovani nel mondo del lavoro e della formazione.

Salari stagnanti e formazione insufficiente

Una parte del problema deriva dalle condizioni economiche e dalla formazione. L’Italia è l’unico Paese Ocse in cui i salari medi sono diminuiti dal 2000, con un calo del 3,5%, mentre la media Ocse nello stesso periodo è cresciuta del 17,8%. Questo rende più difficile per i giovani trovare lavori stabili e remunerativi.

Inoltre, gli investimenti nella formazione procedono a rilento. Valerio De Molli, amministratore delegato di Teha Group, sottolinea l’importanza di rafforzare i percorsi di orientamento già dalle scuole secondarie di primo grado e di coordinare meglio scuole, famiglie, imprese e istituzioni.

Solo così sarà possibile offrire ai giovani strumenti concreti per costruire il proprio futuro e interrompere il circolo vizioso della precarietà. Il problema non è solo creare posti di lavoro: è preparare i ragazzi a inserirsi in modo efficace e sostenibile nel mercato del lavoro.

Una sfida culturale e generazionale

Il fenomeno dei Neet è anche una questione culturale e morale. Luca Sforzini, fondatore del movimento Rinascimento ha ribadito:

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Se umiliamo i nostri giovani o li costringiamo a emigrare, stiamo scavando la fossa dell’Italia

La sua proposta è introdurre la Valutazione di Impatto Generazionale (VIG) per ogni nuova spesa pubblica, misurando l’effetto sulle future generazioni piuttosto che sul consenso politico immediato.  "Se non restituiamo ai giovani strumenti, opportunità e responsabilità, rischiamo di trasformare l’Italia in un Paese vecchio e senza eredi", conclude Sforzini. La sfida, quindi, non è solo economica: riguarda la capacità del Paese di investire nel proprio futuro e nelle nuove generazioni. Le decisioni di oggi devono guardare ai giovani di domani, a chi erediterà l’Italia e contribuirà a scriverne il futuro.

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