La XIII edizione della Scuola Estiva Arpinate (SEA) si è svolta ad Arpino dal 4 al 7 settembre 2025, nel Palazzo Boncompagni, sul tema “Migrantes. Le migrazioni nella storia e nel mondo contemporaneo”. Il titolo richiama l’esigenza di considerare le migrazioni come fenomeno complesso, capace di descrivere la società contemporanea ai suoi margini, di interrogare la memoria storica e di ridefinire le forme di convivenza delle comunità passate e presenti.
L’iniziativa, promossa dall’Unicusano, dall’Istituto di Studi Politici S. Pio V e dall’Università Magna Graecia di Catanzaro, in collaborazione con il Centro Migrare dell’Università di Palermo e l’Università di Cassino, ha rappresentato uno spazio di confronto tra giuristi, filosofi, storici, studiosi di religione e di letteratura, che hanno intrecciato linguaggi e prospettive differenti. La scuola ha assunto il carattere di un laboratorio in cui l’incontro fra discipline diverse ha generato strumenti comuni di analisi. La migrazione è stata assunta come lente interpretativa capace di rivelare le fragilità della società, di analizzarne i conflitti e di aprire possibilità di coesione.
I borsisti e i docenti della SEA nel cortile del Castello Ladislao di Arpino, sede della Fondazione Umberto Mastroianni
Oltre la lente emergenziale
Uno dei temi centrali emersi è il modo in cui la migrazione viene osservata e narrata. La lectio magistralis di Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS, ha introdotto la questione attraverso l’immagine delle “patologie della visione”: la miopia che riduce tutto a emergenza, la presbiopia che non coglie i percorsi di integrazione maturati nel tempo, l’astigmatismo che sovrappone stereotipi indistinti alle persone reali. Queste distorsioni spingono l’opinione pubblica a percepire instabilità, a temere una sostituzione etnica inesistente, mentre i dati mostrano continuità e un costante aumento degli italiani all’estero. In questo senso, la migrazione appare “mal vista” innanzitutto perché “vista male”.
Alberto Scerbo (Università Magna Graecia) ha rafforzato questa linea di lettura ricostruendo la traiettoria storica del fenomeno: dapprima guardato con diffidenza, poi trattato come emergenza, infine assorbito nelle politiche di sicurezza e nei cosiddetti “pacchetti sicurezza”. Una trasformazione che ha consolidato la logica emergenziale dentro la normativa, convertendo un processo strutturale in questione di ordine pubblico.
Benedetto Coccia (Istituto San Pio V) ha aggiunto un tassello ulteriore, mettendo in luce il ruolo delle statistiche manipolate e piegate a fini politici. Nella comunicazione istituzionale e mediatica, ciò che dovrebbe chiarire proporzioni e tendenze si trasforma in strumento di propaganda, alimentando allarme più che conoscenza.
Il quadro che emerge è quello di un Paese che, negli ultimi cinquant’anni, ha costruito gran parte del proprio immaginario politico attorno a un equivoco: considerare la migrazione un evento passeggero o una crisi da contenere, quando essa rappresenta un elemento strutturale della vita sociale e istituzionale.
Migrazione come sapere e memoria
Nel percorso avviato dalla SEA, il superamento della retorica emergenziale ha aperto lo spazio per una riflessione sul valore della migrazione come sapere e come memoria collettiva. Comprendere i movimenti di persone non significa soltanto misurare flussi o disciplinare ingressi: implica la costruzione di strumenti critici e il riconoscimento delle radici culturali che intrecciano questa esperienza alla nostra storia.
Aldo Schiavello ha presentato l’esperienza del Centro Migrare, sottolineando l’importanza di un luogo stabile di ricerca interdisciplinare che tratti le migrazioni come campo scientifico autonomo. Schiavello ha posto l’accento anche sulla necessità di radicare la ricerca in pratiche di terza missione universitaria, capaci di produrre effetti tangibili sul territorio e nel tessuto sociale. Le cliniche legali ne offrono un esempio: spazi in cui studenti e studiosi affrontano casi reali, fornendo supporto giuridico ai migranti. A questa linea si collegano i corridoi universitari promossi con UNHCR, che aprono canali sicuri per l’accesso all’istruzione superiore, rafforzando il legame fra università e protezione internazionale. L’esperienza del Centro Migrare mostra dunque come lo studio delle migrazioni possa diventare leva di trasformazione culturale, incidendo sul piano sociale e contribuendo alla coesione delle comunità civili.
Sul versante della memoria culturale, Giusto Picone ha richiamato i miti fondativi che hanno consegnato al nostro immaginario la figura del migrante come archetipo. L’esempio di Enea, che fugge da Troia distrutta per approdare nel Lazio e dare origine a una nuova stirpe, mostra come la migrazione sia inscritta fin dall’inizio nei racconti di nascita delle civiltà. Rievocare Enea e l’epos della gens Romana significa riconoscere che l’identità collettiva non si costruisce in assenza di movimento, ma attraverso percorsi di sradicamento e rifondazione.
A completare il quadro, Paola Chiarella ha affrontato la prospettiva letteraria mettendo in dialogo testi e diritto. Ha richiamato Salvato dai migranti di Matteo Ferrari e le pagine di Primo Levi, per riflettere sul “diritto a non essere lasciati soli”. Da queste letture emerge un’idea di solidarietà che non si esaurisce nell’accoglienza, ma diventa interdipendenza: i migranti, nel loro attraversare confini, aiutano a riscoprire l’umano in ciascuno, mentre le nostre comunità non possono abbandonarli senza tradire sé stesse. La letteratura si lega così a un filone giuridico e filosofico che, da Léon Duguit al solidarismo novecentesco, ha indicato nella coesione sociale una possibile condizione di esistenza del diritto.
Dalle prospettive di Schiavello, Picone e Chiarella è emerso che le migrazioni non si esauriscono in statistiche o in norme, ma appartengono al patrimonio del sapere, alla memoria culturale e alle rappresentazioni collettive che definiscono chi siamo.
Borsisti nella Sala conferenze del Palazzo Boncompagni
Migrazione come sfida etica e religiosa
La SEA ha posto attenzione anche alla dimensione etica e religiosa, mostrando come lo spostamento di persone interroghi non solo gli ordinamenti giuridici, ma anche le coscienze e le tradizioni spirituali.
Luigi Mariano Guzzo (Università di Pisa) ha ricostruito il magistero di Papa Francesco, che ha fatto della migrazione un punto centrale della propria visione ecclesiale. Nel pensiero del Pontefice, il migrante è il “corpo di Cristo”: una presenza che smaschera le ingiustizie, accusa vivente all’ordine sociale esistente e appello a ripensare la cittadinanza in chiave universale. Da qui l’idea dello ius migrandi come diritto fondamentale, che si vorrebbe radicato nella dignità della persona e sottratto alla logica della concessione statale.
Quanto all’orizzonte islamico, Angelo Iacovella (Università degli Studi Internazionali di Roma) ha direzionato l’analisi sul ruolo fondativo delle migrazioni, in particolare con riferimento all’Egira del 622, la migrazione di Maometto dalla Mecca a Medina che trasforma un gruppo disperso in comunità politica e religiosa. L’evento assume valore fondativo: non una fuga, ma un atto che segna la nascita dell’Ummah. La leggenda della grotta di Thawr – con la tela di ragno e il nido di colomba che proteggono il Profeta – diventa immagine di come la fragilità possa rovesciarsi in protezione. Un noto hadith ricorda che il senso della migrazione dipenda dalle intenzioni: emigrare per finalità religiose è atto spirituale, emigrare per interesse personale è gesto privato. Una prospettiva che contrasta con quella occidentale centrata sull’individuo, restituendo all’esperienza migratoria una dimensione comunitaria e religiosa.
Luigi Di Santo (Università di Cassino) ha infine richiamato la tradizione del cristianesimo sociale, leggendo le migrazioni come banco di prova della solidarietà. In un contesto segnato da diseguaglianze crescenti, l’arrivo di nuovi cittadini diventa occasione per ripensare la politica come cura dei legami e delle convivenze.
Dalle diverse tradizioni religiose emerge un nucleo comune: la migrazione non riguarda soltanto norme e politiche, ma tocca i valori ultimi che tengono insieme una comunità.
Migrazione come diritti, giustizia e nuovi campi di sapere
Il terreno giuridico è quello in cui le migrazioni incidono con maggiore forza, costringendo ordinamenti pensati per comunità stabili a confrontarsi con persone e legami che attraversano confini nazionali.
Alessandro Martini (Unicusano) ha mostrato come il diritto di famiglia diventi un ambito privilegiato per questo confronto. Dai matrimoni ostacolati da nulla osta negati arbitrariamente, alle convivenze di fatto riconosciute anche in assenza di permesso di soggiorno, emerge un diritto che, grazie all’opera dei giudici, riesce a correggere rigidità legislative e a garantire diritti fondamentali a chi sarebbe altrimenti escluso.
In continuità, Francesco Petrillo (Università del Molise) ha richiamato la categoria del riconoscimento, sottolineando come nelle società pluraliste non sia sufficiente la tolleranza: occorre riconoscere l’altro come soggetto titolare di pari dignità, in un orizzonte che ridefinisce le basi stesse della convivenza civile.
A questo quadro si collega l’intervento di Costanza Margiotta Broglio Masucci (Università di Padova), che ha posto l’accento sulla necessità di un campo di studi autonomo: i Migration Studies. Così come i Critical Legal Studies degli anni Settanta misero in discussione i fondamenti tradizionali del diritto, i Migration Studies propongono oggi un approccio critico e interdisciplinare che intreccia diritto, filosofia, sociologia e scienze politiche. La migrazione diventa così un prisma attraverso cui leggere istituzioni e rapporti sociali nel loro insieme, rivelando come le categorie giuridiche e politiche si rimodellino sotto la pressione dei movimenti globali.
La XIII edizione della Scuola Estiva Arpinate ha mostrato che la migrazione non è un’emergenza passeggera, ma una chiave interpretativa capace di attraversare la storia, le istituzioni, le religioni e le culture. Dai dati demografici alle norme giuridiche, dai miti fondativi alla letteratura, dalle pratiche di solidarietà alle esperienze universitarie, il fenomeno migratorio è emerso come fattore strutturale delle società contemporanee.
Nelle riflessioni conclusive, Enrico Ferri (Unicusano) ha richiamato alcuni dati essenziali: milioni di italiani hanno lasciato il Paese nel corso della storia; a livello globale, solo una piccola percentuale dei migranti provenienti da aree in estrema difficoltà raggiunge il cosiddetto Occidente, mentre la maggior parte resta nei Paesi confinanti. Da qui la critica a politiche che delegano la gestione dei flussi ad altri Stati, trasformando la migrazione in questione di scambio economico e di convenienza politica. Ferri ha ricordato che migrare appartiene alla condizione umana. poiché ci si sposta per necessità, per lavoro, per studio, ecc. Il problema nasce dal fatto che ogni spazio abitato è anche spazio politico, e che la distinzione tra una “migrazione buona” e una “cattiva” riflette gli interessi mutevoli delle società di arrivo. Le stesse norme si restringono o si ampliano secondo criteri di utilità. Resta allora la domanda: è possibile superare la logica della funzionalità e dell’egoismo? Forse non del tutto, ma è possibile rivederne i contorni, riconoscendo che una gestione diversa serve anche sul piano funzionalistico. Fare entrare persone, accompagnarle con politiche di integrazione, significa non solo garantire diritti ma rispondere a bisogni concreti delle società contemporanee.
La SEA ha così offerto strumenti critici per sottrarre il dibattito a paure e slogan, restituendo al fenomeno migratorio la sua complessità e indicando nell’integrazione e nella coesione sociale non un gesto naïve di generosità, ma la condizione per costruire un futuro possibile. Gli atti della SEA saranno pubblicati sulla rivista Democrazia e Diritti Sociali diretta dal prof. Luigi Di Santo e pubblicata da Edizioni Università di Cassino.
Francesco Cirillo, Unicusano