Dopo decenni di documentari superficiali, teorie controverse e narrazioni che hanno spesso privilegiato il sensazionalismo alla verità, una nuova opera si affaccia sul caso criminale più oscuro e complesso della storia italiana. "Il Mostro", la miniserie firmata da Stefano Sollima in uscita su Netflix il 22 ottobre, promette di cambiare radicalmente la prospettiva.
Questo documentario riceve un'approvazione tanto inaspettata quanto autorevole: quella di Vieri Adriani, l'avvocato che per oltre trent'anni ha rappresentato i familiari di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, l'ultima coppia uccisa dal killer nel 1985.
"La ricostruzione storica appare accurata fin nei dettagli, i dialoghi sono verosimili e ben scritti".
Con queste parole, l'avvocato fiorentino promuove a pieni voti il progetto, definendolo un racconto credibile e umano, lontano dalle ricostruzioni "poco documentate" che hanno affollato i palinsesti televisivi per anni.
Un giudizio che pesa come un macigno, provenendo da chi ha vissuto dall'interno le infinite battaglie legali e il dolore incancellabile delle famiglie.
Ecco il trailer ufficiale:
La vera rivoluzione della serie di Sollima, creata insieme a Leonardo Fasoli, risiede nella sua scelta narrativa.
Invece di partire dai delitti degli anni '80 e dalla figura di Pietro Pacciani con i suoi "compagni di merende", la narrazione compie un passo indietro, fino a quella notte del 21 agosto 1968 che ha dato inizio a tutto.
Quella notte, in una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco vennero uccisi a colpi di pistola nella loro auto. Sul sedile posteriore, addormentato, c'era un bambino di sei anni: Natalino Mele, figlio di Barbara.
È lui, l'unico testimone oculare, il fulcro emotivo e narrativo dei quattro episodi. La serie sceglie di osservare l'orrore attraverso i suoi occhi infantili, raccontando la storia prima ancora che la stampa coniasse il nome "Mostro di Firenze".
Seguiamo il piccolo Natalino che, svegliato dagli spari e trovata la madre morta, vaga per due chilometri nella campagna buia prima di bussare alla porta di un casolare, portando con sé un trauma che segnerà la sua intera esistenza.
"Mi svegliarono gli spari. Vidi la mamma morta. Ho detto le preghiere e cantato per non avere paura", racconta oggi l'uomo, la cui vita è stata un susseguirsi di abbandoni, collegi e assistenti sociali.
Sollima, maestro del realismo crudo in opere come "Romanzo Criminale" e "Gomorra", applica il suo stile inconfondibile per scavare non solo nel crimine, ma nel contesto sociale che lo ha generato.
La serie ricostruisce una Toscana rurale degli anni '60, un mondo governato da un patriarcato soffocante, fatto di gelosie, rancori familiari e un silenzio omertoso.
È una società arretrata dove la libertà di una donna come Barbara Locci, con i suoi numerosi amanti, era vista come una colpa da punire, e dove un delitto passionale poteva essere sepolto sotto strati di vergogna.
È in questo ambiente che si muove l'indagine, non solo quella dei carabinieri dell'epoca, ma anche quella, a posteriori, della magistrata Silvia Della Monica.
Fu lei, anni dopo, a intuire per prima il collegamento tra quel delitto dimenticato e la scia di sangue degli anni '80, e fu sempre lei a ricevere la busta anonima contenente il lembo di seno dell'ultima vittima francese.
L'avvocato Adriani loda proprio questo approccio: "La narrazione si modella sull'aspetto umano e psicologico dei personaggi, evidentemente ispirata agli atti processuali, letti e ponderati con attenzione".
La serie, secondo il legale, non pretende di offrire una "verità" processuale, che spetterebbe ai magistrati, ma fornisce una ricostruzione storica e psicologica di altissimo livello, con una cura maniacale per le ambientazioni, la fotografia e i dettagli, dalle auto d'epoca ai dialoghi.
La storia di Natalino Mele, inoltre, si intreccia con uno dei filoni investigativi più affascinanti e irrisolti del caso: la cosiddetta "pista sarda".
Solo nell'estate del 2025, Natalino ha scoperto di non essere figlio di Stefano Mele, l'uomo condannato per il delitto del '68, ma di Giovanni Vinci, uno degli amanti della madre, fratello di Salvatore e Francesco Vinci, entrambi figure centrali in quell'ipotesi investigativa.
"Il Mostro" di Netflix si preannuncia quindi come un'opera definitiva, un'analisi profonda che non cerca facili risposte ma esplora le radici del male, dando finalmente voce e dignità non solo alle vittime, ma anche all'unico, dimenticato testimone di quella lunga notte di paura.