01 Nov, 2025 - 06:53

La Cina dichiara guerra ai "fuffa-guru" dei social: serve la laurea per parlare di temi sensibili

La Cina dichiara guerra ai "fuffa-guru" dei social: serve la laurea per parlare di temi sensibili

La nuova regolamentazione cinese che obbliga gli influencer a possedere una laurea o una certificazione professionale per trattare online argomenti «sensibili», come salute, diritto, educazione e finanza, è ufficialmente in vigore dal mese di ottobre 2025.

Questa svolta imposta dalla Cyberspace Administration of China (CAC) mira a garantire una maggiore professionalità nella divulgazione digitale, ma anche a limitare la diffusione di fake news e contenuti truffaldini, tematiche particolarmente rilevanti nell’era dei social network e delle app di messaggistica.​

Cina, tra lauree obbligatorie e multe salate

La normativa si inserisce in una strategia che accentua il controllo statale sulla rete: le principali piattaforme cinesi, come Douyin, Weibo e Bilibili, sono costrette a verificare l’autenticità dei titoli di studio dei content creator e a segnalare eventuali violazioni, pena la sospensione degli account, la riduzione della visibilità dei contenuti oppure multe che possono arrivare a 100.000 yuan (circa 12.000 euro).

Non basta più essere convincenti davanti alla telecamera: ora serve dimostrare di essere “qualificati”, nel senso più letterale del termine.​

In aggiunta, ogni creator deve citare fonti e dati a supporto delle proprie affermazioni, mentre le piattaforme dovranno etichettare i contenuti generati da intelligenza artificiale e bloccare quelli non conformi.

È stato inoltre vietato l’uso della pubblicità occulta, in particolare per prodotti legati alla salute e alla finanza.​

Tutela dei cittadini o censura?

Il provvedimento nasce dichiaratamente con l’obiettivo di tutelare i cittadini da consigli potenzialmente pericolosi e di innalzare il livello di credibilità delle informazioni online.

La Cina ha storicamente un approccio molto restrittivo per quanto riguarda la libertà di parola, e questa nuova stretta non fa altro che rafforzare il potere di filtro del governo su chi può divulgare contenuti «seriosi» sui social.

Non mancano ovviamente voci critiche che leggono la misura come una perdita ulteriore di libertà di espressione, una sorta di “patente digitale” che, sotto l’apparenza della tutela dalle fake news, istituzionalizza e centralizza un’attività spesso spontanea e indipendente.​

Fake news, truffe e rischi: il caso italiano

Il fenomeno della disinformazione ovviamente non è circoscritto alla Cina: anche l’Italia soffre di una diffusione esponenziale di fake news, teorie complottiste e truffe, soprattutto su piattaforme come Facebook, WhatsApp, Telegram, Instagram e TikTok.

La manipolazione del consenso politico, i danni alla salute pubblica e la polarizzazione sociale sono soltanto alcune delle conseguenze più gravi.

Secondo recenti dati, più del 60% degli italiani ritiene che chi diffonde fake news lo faccia consapevolmente o per motivi economici, mentre una larga fetta della popolazione crede di essere in grado di riconoscere le notizie false—con risultati, però, non sempre dimostrati nei fatti.​

Se la normativa arrivasse da noi...

Qui il sarcasmo è d’obbligo: proviamo a immaginare, per puro divertissement, che la direttiva cinese arrivi anche in Italia. Nel Bel Paese, dove i “fuffa-guru” (di solito laureati all’Università della Strada) si moltiplicano come le offerte del Black Friday, assisteremmo a un vero e proprio esodo digitale.

Gli influencer italiani che si spacciano per esperti di coaching, trading online, medicina alternativa, relazioni amorose e qualunque materia «sensibile» sarebbero costretti ad appendere i selfie al chiodo o, peggio, dovrebbero improvvisarsi studenti universitari last-minute.

Le “patenti digitali” farebbero piazza pulita delle infinite live di consulenti finanziari improvvisati che promettono guadagni miracolosi, o dei medici santoni che curano il cancro con l’acqua di Lourdes. 

Persino i motivatori seriali e i life coach che vantano una vasta formazione “creativa” sarebbero costretti a tornare alla realtà.

La Cina dunque ha optato per un filtro rigoroso, capace di porre un freno alla deriva della disinformazione. In Italia, si rischierebbe un silenzio surreale sui social: addio guru improvvisati, addio consigli lampo. Ma forse, ne giovrebbero la verità, la professionalità e le orecchie degli utenti sprovveduti.​

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