Si apre un nuovo sipario sugli errori nella compilazione della domanda per le borse di studio con la pubblicazione della sentenza del TAR Lazio (Sez. V-bis, n. 17874/2025), che chiarisce le regole relative alla partecipazione ai bandi pubblici. Dopo aver analizzato i fatti, i giudici hanno ribadito che la responsabilità della corretta compilazione della domanda è imputabile esclusivamente a chi presenta la richiesta. In particolare, l’amministrazione non è tenuta a correggere o integrare errori imputabili al richiedente.
Studenti e studentesse, ogni anno, si impegnano nella compilazione online delle richieste di partecipazione a diverse agevolazioni legate al diritto allo studio. Il rilascio delle borse di studio è disciplinato dal Decreto Legislativo 29 marzo 2012, n. 68. La norma si fonda sull’articolo 34 della Costituzione italiana, che riconosce ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Ma cosa accade se, compilando la domanda per una borsa di studio, si commette un errore? Quali sono le conseguenze e come intervenire?
Sono diverse le iniziative promosse negli ambienti scolastici; per questo motivo il diritto allo studio universitario è regolato da disposizioni normative (D.Lgs. 68/2012). Ogni anno gli studenti partecipano a numerosi bandi, e la legge prevede che gli enti regionali promuovano iniziative volte a favorire l’uguaglianza delle opportunità. Tuttavia, la gestione delle procedure standardizzate avviene ormai tramite piattaforme informatiche e autocertificazioni.
Il decreto stabilisce che, nella prassi legata alla compilazione dell’istanza di accesso a un diritto di studio come la borsa di studio, il richiedente agisca come un dichiarante pubblico. Pertanto, eventuali errori od omissioni ricadono sulla sua responsabilità diretta, in applicazione del principio di autoresponsabilità del concorrente, più volte ribadito dal TAR e dal Consiglio di Stato.
Si tratta di una definizione che chiarisce come l’amministrazione pubblica, chiamata a trattare migliaia di richieste in tempi ristretti, non possa intervenire direttamente su eventuali errori verificatisi durante la fase di digitazione.
Per limitare gli effetti di tali errori, i bandi includono spesso una finestra di soccorso istruttorio, ovvero un periodo in cui è possibile modificare, correggere o integrare i dati ritenuti errati. Tuttavia, una volta scaduto il termine previsto dal bando, la domanda è considerata definitiva a tutti gli effetti di legge, escludendo la possibilità di intervenire successivamente.
Su questo punto è intervenuto il TAR Lazio, chiamato a pronunciarsi sul caso di una studentessa che aveva omesso un dato essenziale e tentato la rettifica dopo la chiusura del portale: il sistema aveva bloccato la modifica e l’ente - correttamente, secondo i giudici - non ha potuto accogliere la richiesta.
Gli errori più frequenti riguardano l’inserimento dei dati anagrafici, la dichiarazione dell’ISEE o del numero di crediti formativi universitari (CFU), e la scelta della condizione di “fuori sede” o “pendolare”. Alcuni errori sono puramente materiali, altri invece di natura sostanziale. Solo i primi, se riconoscibili e documentabili, possono essere corretti; quelli sostanziali, che incidono sulla valutazione dei requisiti, comportano l’esclusione automatica dal bando.
Come riportato da Salvis Juribus, “ricade sul dichiarante l'onere di presentare una domanda corretta e completa, non potendo l'amministrazione emendarla d'ufficio o presumerne la volontà”.
Il principio di equità sostanziale e di buon andamento dell’amministrazione pubblica presuppone comunque che la stessa agisca per rimuovere gli ostacoli che limitano la parità dei cittadini. Tuttavia, se la rigidità di uno strumento digitale - come una piattaforma telematica - impedisce di fatto a una persona di esercitare un suo diritto, sorge un problema di equità.
Allo stesso tempo, il principio di autoresponsabilità previsto dal diritto amministrativo stabilisce che il cittadino, in qualità di studente, è direttamente responsabile della correttezza e della completezza della domanda che presenta. L’amministrazione, dal canto suo, non può sostituirsi a lui, correggere errori sostanziali o “indovinare” le sue intenzioni.
L’attuale sistema, ormai interamente basato su piattaforme digitali, si scontra però con la realtà del digital divide culturale. Anche se la coerenza giuridica è indiscutibile, la sua applicazione penalizza chi possiede minori competenze informatiche.
Questo crea un corto circuito che, come riportato da Il Sole 24 Ore, mette in luce la rigidità delle procedure online, trasformando una questione di competenza digitale in una potenziale violazione del diritto allo studio.
Serve quindi un equilibrio tra rigore giuridico e tutela effettiva: garantire regole chiare, ma anche strumenti accessibili per tutti, affinché un errore materiale non si trasformi in una barriera al futuro.
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