Gli ultimi dati relativi al 2025 delineano un quadro controverso sull’impatto economico degli immigrati in Italia. L’idea diffusa secondo cui la presenza straniera sarebbe una “risorsa” per il Pil nazionale viene messa fortemente in discussione da una realtà numerica che, invece, certifica un’emorragia di ricchezza: sono 10 miliardi di euro in un anno i capitali che lasciano il nostro Paese sotto forma di rimesse verso le nazioni di origine degli immigrati, tra denaro tracciato e flussi clandestini.
Nel 2025 si registra un incremento significativo dei trasferimenti di denaro effettuati dagli immigrati residenti in Italia. Paesi come Bangladesh, Filippine, Pakistan – insieme a molte altre destinazioni extra-europee – continuano a ricevere somme cospicue, a volte inviate con sistemi bancari ufficiali, altre volte attraverso canali informali e clandestini. Il volume dei trasferimenti, secondo le analisi, raggiunge appunto i 10 miliardi di euro, sottraendo risorse che teoricamente avrebbero dovuto alimentare il circuito economico nazionale.
Come fa notare Laura Della Pasqua sul quotidiano La Verità, questo fenomeno incide in modo diretto sulle statistiche relative al Pil, ossia sulla ricchezza prodotta e mantenuta all’interno dei confini nazionali. Gli immigrati percepiscono stipendi e compensi sul suolo italiano, ma una parte significativa di questi profitti non resta tra le maglie dell’economia nostrana, non consolidando spesa, investimento o crescita interna.
L’“espatrio” delle risorse invece assume proporzioni tali da vanificare, in parte, gli effetti positivi che una maggiore forza lavoro potrebbe generare sulle dinamiche produttive nazionali.
L’altra faccia della medaglia riguarda il rapporto tra immigrati e welfare, con un accesso diffuso e consistente ai servizi pubblici. Sanità, edilizia residenziale pubblica, sussidi e agevolazioni spesso accompagnano il percorso lavorativo degli stranieri residenti, garantendo una protezione sociale che, però, non trova una “compensazione” fiscale nel capitale che lascia il territorio italiano.
Il combinato disposto di risorse erogate dallo Stato e di denaro trasferito all’estero genera una tensione rilevante, soprattutto se si considera l’attuale situazione economica.
Un aspetto particolarmente delicato riguarda la distinzione tra le somme ufficialmente registrate – tramite bonifici, Money Transfer e circuiti bancari – e i flussi di denaro che viaggiano “in nero”, utilizzando canali sommersi e difficili da monitorare per le autorità.
Il problema non si limita alla sola evasione fiscale, ma si aggancia anche ad altre dinamiche, come il riciclaggio, le attività illecite e i rapporti opachi tra economia sommersa e reti criminali.
Da anni istituzioni e forze dell’ordine segnalano il rischio che parte delle rimesse possa contribuire ad alimentare circuiti economici paralleli, vanificando così non solo la crescita interna ma anche la sicurezza e la trasparenza del sistema economico nazionale.
Il tema è al centro di un acceso dibattito politico, con posizioni molto polarizzate tra chi rivendica il contributo lavorativo ed economico degli immigrati e chi, al contrario, denuncia la perdita di risorse e l’effetto negativo sul bilancio pubblico italiano.
Diverse forze politiche chiedono un controllo più stringente sui flussi di denaro, una revisione delle politiche di accesso al welfare e una regolamentazione più efficace dei trasferimenti internazionali. Fra le proposte emergono anche ipotesi di tassazione sulle rimesse, al fine di recuperare almeno una parte della ricchezza in uscita.
Resta aperta la questione di come conciliare l’esigenza di sostenere l’inclusione sociale con la tutela delle finanze pubbliche. Il trend evidenziato nel 2025 pone ancora una volta l’Italia di fronte a una scelta strategica: continuare a sostenere un modello aperto, consapevoli dei rischi per il Pil e il welfare, oppure avviare una riflessione critica sugli equilibri reali tra “risorse” e costi della presenza straniera, sia dal punto di vista umanitario che economico.
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