L'Anm, l'Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe italiane, farebbe felice il Marchese del Grillo:
L'ultima prova la si evince dal fatto che il suo presidente, Cesare Parodi, ha detto no al confronto tv con il ministro Nordio sulla riforma della Giustizia oggetto del referendum di primavera.
In realtà, è stata una decisione sofferta. Parodi, infatti, prima si era dimostrato disponibile, poi dubbioso, ma ieri nettamente contrario. Con questa motivazione:
"Il confronto costituirebbe una rappresentazione plastica, direttamente percepibile, e come tale fuorviabile e strumentalizzabile, di una contrapposizione politica fra il governo e la magistratura, che non trova riscontro nella realtà".
E sì, rileggetela se volete. E decidete voi se è plausibile.
La decisione dell’Anm di non accettare il confronto televisivo con il ministro Nordio arriva dopo un’attenta riflessione interna, diciamo così.
Il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ha spiegato che la magistratura non si sottrae al dialogo, ma ritiene che al momento non ci siano le condizioni per uno scambio sereno e costruttivo con l’esponente del governo ispiratore della riforma che vuole separare le carriere, introdurre due Csm e imporre il sorteggio per l'organo di autogoverno sbaraglaindo le correnti politicizzate dei magistrati.
L’Associazione ha sottolineato come il confronto debba basarsi su un reale ascolto e apertura al dialogo da parte del governo, cosa che finora è mancata, con una riforma percepita come calata dall’alto senza una vera mediazione tra le parti.
Ma tant'è: l’Anm ha promosso un comitato per il No al referendum guidato da una personalità come il costituzionalista Enrico Grosso, un segnale chiarissimo della forte opposizione interna alla riforma Nordio.
Il rifiuto del confronto televisivo è quindi stato motivato anche come un modo per evitare una spettacolarizzazione della discussione che potrebbe ridurne la complessità a un semplice scontro personale.
In ogni caso, la tensione politica attorno al referendum sulla riforma Nordio è molto alta.
Da un lato, il governo con in prima linea il ministro Nordio, sostenuto dalla premier Giorgia Meloni e dalla sua maggioranza, spinge per un Sì convinto, presentando la riforma come necessaria per garantire una magistratura più imparziale e meno influenzata dalle correnti interne.
Dall’altro, vi è un ampio fronte di opposizione che vede nelle modifiche proposte un pericolo per l’equilibrio costituzionale e una possibile politicizzazione della magistratura.
Le parole di Nordio stesso riflettono questa complessità: il ministro auspica un dibattito "informato" e non "politico", ma riconosce che la posta in gioco è altissima e che il referendum potrebbe diventare uno "scontro devastante" che coinvolge anche i cittadini e non solo la magistratura.
Lo scontro, come facilmente pronosticabile quindi, supera i confini tecnici della riforma diventando terreno di tensioni politiche e culturali molto profonde, con forti divisioni anche all’interno della magistratura stessa e fra i diversi schieramenti politici.
Del resto, tanto per fare un esempio, Elly Schlein, leader dell'opposizione, è partita in quarta in questa campagna referendaria, dicendo che se la riforma Nordio dovesse essere bocciata, il governo ne uscirebbe molto ammaccato.
Ma, in caso contrario, chi ne farà le spese?
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