Goreng si risveglia disorientato nel livello 48, qui il cibo che arriva ogni giorno è già stato mangiucchiato, si tratta di avanzi comunque sufficienti per sfamarsi. Il suo compagno di cella, il vecchio e cinico Trimagasi, è reduce dal livello 132 dove la piattaforma arriva già completamente ripulita. Come ha potuto sopravvivere per 30 giorni senza toccare cibo? La risposta probabilmente è nell'oggetto che il losco individuo ha scelto di portare con sé, il samurai plus, un coltellaccio comprato in una televendita che si affila con un uso costante. Goreng, invece, ha un libro, Don Chisciotte della Mancia, a differenza del suo nuovo amico che sta scontando un anno per omicidio, lui è lì volontariamente per smettere di fumare e aspetta un attestato di partecipazione di sei mesi.
La situazione naturalmente precipita e con essa - giù nella fossa - l'ignaro protagonista della storia che comincia a capire il funzionamento dell'impietoso sistema e anche ad accarezzare l’idea di smantellarlo. Ma è quasi impossibile istillare nei cuori degli abitanti una qualche forma di solidarietà. Come insegna Trimagasi, meglio non parlare con quelli di sotto perché sono di sotto e lasciare perdere quelli di sopra perché non ti ascolteranno.
Ciò che serve è perciò un messaggio diretto proprio all’Amministrazione del grande tritacarne che è la fossa. Inizialmente Goreng pensa ad un atto simbolico - lanciare un segnale facendo arrivare intatta al piano 0 un'ambitissima panna cotta - ma poi capisce che la chiave di tutto è qualcos’altro o, meglio, qualcun altro.
Dalla legge del più forte alla guerra tra poveri, nel film tutto è in scena grazie al metaforico ascensore sociale che regola il meccanismo spietato della fossa. La cifra horror-splatter adottata dal regista spagnolo, brutale ma ponderata, non fa altro che rendere accattivante agli occhi del pubblico onnivoro di Netflix un plot che già desta curiosità e aspettativa per l’attualità disarmante che si prefigge di esplorare.
Dall'ostica ambientazione al contenuto fortemente allegorico, volutamente esplicitato rispetto al recente Parasite o - sempre del regista sudcoreano - a un più articolato Snowpiercer, con il suo finale scenografico permeabile a ogni interpretazione Il buco di certo non delude le aspettative. Fornisce l'agghiacciante quadro di una società fratricida in cui il viver comune finisce schiacciato tra la logica di un perenne antagonismo e gli istinti più bassi della natura umana.
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