Andrea Segre era lì, a Venezia, nella sua Venezia o meglio in quella del padre Ulderico, chimico-fisico dalle poche parole, spesso impenetrabile agli occhi del giovane Andrea come la stessa laguna retta su invisibili palafitte sommerse. Era lì quando l’eterno andirivieni di barche e battelli stracarichi di turisti si interrompe, nell’inverno 2020 quando il virus blocca il mondo.
Voleva raccontare le due grandi ferite che la città porta con sé, il turismo di massa e l’acqua alta, e invece protagonista di un altro film, si ritrova a navigare guidato da una campionessa di voga tra i canali deserti di una città sospesa, fragile, misteriosa e più affascinate che mai.
Ecco che le molecole alle quali il signor Ulderico ha dedicato la sua vita di studioso, tornano ad essere protagoniste delle nostre vite: il virus riconsegna Venezia a un Andrea ormai adulto, trapiantato a Roma e solo di passaggio, e con la città i ricordi di un tempo lontano. Alle immagini di una scenografica San Marco svuotata - già a tratti immaginata da un profetico Sorrentino in The New Pope - e scossa solo dalle urla laceranti dei gabbiani, si alterna l’archivio personale fatto di diapositive, scatti fotografici che lo vedono in compagnia del padre. È il non detto il vero protagonista di questa importante appendice tematica, occasione per rivivere un'infanzia fatta di interrogativi e sentimenti inconfessati.
Ma tu sapevi che non mi avresti più rivisto, si chiede Andrea ripensando a quell’ultimo giorno di lavoro a cui il padre si sottrasse scegliendo di trascorrerlo con lui, suo figlio. Certe domande non posso trovare risposta. Venezia, catturata da Segre nel silenzio assordante del lockdown, su questo sembra dargli ragione.
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