Due mondi a confronto, una frattura impossibile da ricomporre. Presentato al Sundance, Falling è la lenta discesa nella malattia - raccontata brillantemente ormai da fior di pellicole tra cui l’ultimo premiatissimo The Father - ma soprattutto un viaggio alla scoperta di un doloroso conflitto generazionale. Disordinato, a volte un po’ scolastico e non privo di luoghi comuni, è un racconto genuino e di cuore retto dalla bravura indiscussa di Mortensen, qui pure sceneggiatore (che con l’elemento del viaggio e il tema della discriminazione strizza l’occhio al fortunato Green Book). L’idea nasce di ritorno dal funerale della madre e prende corpo dai ricordi frammentati di bambino. Mortensen che non si era nemmeno incluso nel cast - la decisione di subentrare arriva per assicurare finanziamenti alla piccola produzione - gestisce bene il doppio ruolo, con una regia misurata e di servizio scompare dietro la macchina da presa per troneggiarvi davanti, grazie a un protagonista eroicamente indifferente all’umiliazione, di un’integrità e una statura senza eguali, quasi misteriosa e angelica di fronte a questo padre ingestibile che delira e ingiuria tutto e tutti (le minoranze in primis). Sarà davvero difficile per lo spettatore provarne compassione, con la malattia che può solo peggiorarlo. Le scene di confronto sono tante, forse troppe, soprattutto perché, seppur intervallate da ricchi flashback di un’infanzia tossica e sofferente, tendono a riproporre più volte lo stesso schema attardandosi nella svolta di questo travagliato rapporto filiale. Nel dramma familiare tanto spazio però, anche alle sequenze ironiche. Il vecchio vedovo Willis, interpretato da un ottimo Lance Henriksen che quasi ruba la scena per se, è un uomo d’altri tempi talmente aggressivo, rabbioso, testardo nel difendere il suo modo di vivere da risultare tragicomico soprattutto nel confronto con i nipoti della Z generation. Per non parlare del breve ma intenso scambio di battute con Cronenberg, comparso in un piccolo cameo nel ruolo del proctologo che ha in cura il detestabile Willis. Talmente velenoso da risultare grottesco con il suo fare scorretto ed eccessivo, Henriksen è certamente tra le scommesse vinte di questo film d’attore a firma Viggo Mortensen.
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