25 Feb, 2023 - 19:29

In Italia lo smart working convince poco i datori di lavoro

In Italia lo smart working convince poco i datori di lavoro

Finita l'emergenza Covid l'Italia sembra aver dimenticato lo smart Working. Di tutte le misure adottate durante la pandemia, probabilmente era l'unica cosa che avrebbe potuto insegnare qualcosa alle aziende, invece a quanto pare nel nostro paese in molti hanno scelto di lasciarselo alle spalle e fare un passo indietro. Il lavoro agile infatti avrebbe potuto rappresentare un'evoluzione importante ma chissà perché, mentre in altri paesi europei viene messo in atto a prescindere dall'emergenza appena finita, in Italia per molti datori di lavoro rimane un'idea ostica da digerire. È palese invece che per lo smart working sono stati fatti passi indietro e anche se le previsioni per il prossimo anno sembrano essere lievemente aumento fino a 3,63 milioni di lavoratori, grazie al consolidamento dei modelli di lavoro a distanza nelle grandi imprese e a un possibile incremento nel settore pubblico. Perché lo smart working in Italia non prende piede? Da una parte c’è la diffidenza dei manager di stampo ‘tradizionale’ nell’assegnare piena autonomia e responsabilità ai dipendenti, dall’altra la difficoltà nell’applicare il lavoro agile alle piccole imprese, di cui il nostro tessuto imprenditoriale è ricco.

Smart Working in Italia, in calo le percentuali di chi sceglie di adottarlo

Secondo l’Inapp più le imprese sono piccole e meno sono adatte al lavoro agile: l’84% dei lavoratori delle imprese fino a 5 dipendenti svolge mansioni che non possono essere smartabili, percentuale che passa al 56,4% per quelle medie e al 34,2% per quelle con più di 250 addetti. Attualmente si stima che i lavoratori pubblici a cui è data la possibilità di lavorare da remoto siano 570mila, il 33% in meno rispetto allo scorso anno. In particolare, l’utilizzo dello smart working è stato adottato nel 2022 solo nel 57% degli enti, a fronte del 67% dell’anno precedente, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. Le previsioni per il 2023 sono per un’inversione di tendenza, con una crescita prevista di circa il 20% del numero di lavoratori pubblici coinvolti. Tra l'altro lo smart working ha fatto scoprire, durante la pandemia, ai lavoratori il piacere di sfruttare i momenti di pausa per occuparsi di dinamiche familiari o anche per prendersi spazi personali molto più agevolmente, senza intaccare l'orario o gli impegni professionali. In più è stato dimostrato che chi lavora da casa subisce uno stress inferiore rispetto a chi è 'costretto' ad andare sul posto di lavoro, influendo positivamente anche sul rendimento. Senza considerare il tempo del viaggio che si risparmia tra andata e ritorno, soprattutto nelle grandi città.

I vantaggi dello Smart Working, risparmi per i lavoratori ma anche per aziende

A Roma secondo i dati raccolti da Enea il tempo speso in macchina è mediamente di due ore al giorno. Il risparmio, anche sulle spese per i trasporti, per i lavoratori tra l'altro non è da sottovalutare, ma anche le aziende hanno i loro vantaggi. Tantissimi studi hanno dimostrato che i vantaggi dello smart working infatti non sono solo per i dipendenti ma sono anche per le aziende e la collettività. Secondo i risultati della ricerca 2022 dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto (anche se poi spende 400 euro in più per i consumi domestici). Le aziende, invece, beneficiano di una riduzione dei consumi di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Il risparmio lievita fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore se l’impresa decide di ridurre gli spazi della sede del 30%. E a risparmiarci, in termin di smog, sono anche le città. Con meno traffico e macchine in giro naturalmente c'è in beneficio anche a livello ambientale. Infine ci sono da aggiungere i benefici a livello ambientale che si ottengono dalla riduzione delle emissioni di CO2, stimate in circa 450 Kg annui per persona (considerando i mancati spostamenti, la riduzione delle emissioni nelle sedi delle aziende e il conteggio di quelle addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione). Prendendo a riferimento il numero degli smart worker attuali, pari a 3,57 milioni, l’impatto a livello di sistema Paese è pari a 1.500.000 Ton annue di CO2, paragonabile alla quantità assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa 8 volte quella del comune di Milano. C’è da considerare poi che nelle imprese dove si adotta lo smart working si registra un aumento della produttività e del benessere dei dipendenti (meno giorni di malattia e di ferie), che rimanendo a casa riescono ad evadere pratiche per cui magari dovrebbero prendersi dei giorni di ferie. E così mentre in Europa si sperimenta la settimana corta (con successo), in Italia si continua a discutere di vantaggi e svantaggi dello smart working.

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Laura Novelli
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