Mentre il Tour si avvicina alla conclusione col secondo trionfo consecutivo di Jonas Vingegaard alle porte, sono come al solito tanti gli spunti di riflessione provocati da una manifestazione così importante come la Grand Boucle.
Uno degli eventi che ha avuto maggior cassa di risonanza dal punto di vista mediatico in queste tre settimane è senza ombra di dubbio la maxi-caduta della quindicesima tappa del Tour de France, da Les Gets les Portes du Soleil a Saint-Gervais Mont-Blanc. Sia chiaro: tra lo spettacolo offerto da Vingegaard e Pogacar, il dominio in volata di Jasper Philipsen, e altre piccole grandi imprese di giornata, di spunti tecnici da cui attingere ce ne sarebbero molti. La caduta citata prima, però, assume particolare importanza per il motivo che l’ha causata: a urtare Sepp Kuss (primo pezzo del domino che ha coinvolto poi tutti gli altri sfortunati ciclisti) è stato un tifoso a bordo strada col braccio sporto, intento a farsi un improbabile selfie con il gruppo sullo sfondo. Per chi segue il ciclismo da tempo, non è ovviamente la prima volta che tale grottesca situazione si verifica, e – purtroppo – c’è da scommettere sul fatto che non sarà l’ultima. Le precauzioni prese dalle organizzazioni dei Grandi Giri, seppur migliorabili, poco possono su tracciati lunghi quasi 200 km. Rivedendo quelle immagini, tornano alla mente eventi anche più clamorosi di quello avvenuto ai malcapitati lo scorso 16 luglio.
È il 1999, e uno dei tapponi alpini più iconici, con arrivo all’Alpe d’Huez, è in dirittura d’arrivo. Nel gruppetto di testa tanti atleti di classifica si danno battaglia per conquistare la storica vetta, e per provare a dar fastidio alla Maglia Gialla dell’epoca, Lance Armstrong. L’americano è infatti in testa alla classifica nello stupore generale, e nessuno all’epoca può immaginare che non solo terrà la maglia fino a Parigi, ma che quello sarà solo il primo di sette trionfi consecutivi. La macchia del doping sistematico, poi, è ancora più lontana: Lance in quel frangente rappresenta il simbolo vincente dell’uomo che torna dalle sue stesse ceneri, sconfigge la malattia, e si riprende con gli interessi tutto ciò che il destino gli aveva tolto pochi anni prima. I riflettori sono quindi tutti per il texano e per i suoi illustri compagni di fuga: tra gli altri spiccano il russo Pavel Tonkov, lo svizzero Alex Zulle, lo spagnolo Fernando Escartin, e la maglia a pois, il beniamino di casa Richard Virenque. Quando manca poco più di 1 km alla conclusione, uno dei componenti del gruppo di testa trova il coraggio per scattare e rompere gli indugi. Non si tratta però di nessuno dei campioni citati in precedenza: ad approfittare infatti dei continui marcamenti stretti tra gli uomini di classifica è l’italiano Giuseppe Guerini, scalatore provetto fuori da ogni discorso relativo alla classifica (terminerà quel Tour al 22° posto). In quel frangente Guerini, seppur reduce da due podi nella generale del Giro d’Italia (terzo sia nel 1997 che nel 1998), è il vero outsider della fuga, e i suoi calcoli sono corretti: nessuno, infatti, riesce a trovare la forza per chiudere il gap con l’azzurro, che guadagna in pochi tornanti un tesoretto di 15 secondi, ipotecando la vittoria finale. Non sembrano esserci ostacoli tra Giuseppe e la sua prima vittoria di tappa al Tour (nel 2005 ne otterrà poi un’altra), ma in vista dell’ultimo chilometro accade l’impensabile: uno spettatore si sposta completamente al centro della carreggiata per fare una foto in primo piano dell’accorrente Guerini, e il suo goffo tentativo di scansarsi all’ultimo si tramuta in un beffardo scontro con l’italiano. In questo caso, essendo in salita, la velocità fortunatamente è tutt’altro che sostenuta: il corridore della Deutsche Telekom riesce quindi a rimettersi in sella nel minor tempo possibile e, grazie anche alla spinta del maldestro fotografo, riprende velocemente il ritmo necessario per arrivare al traguardo. Il vantaggio sui diretti avversari è tale che Guerini può comunque alzare indisturbato le braccia al cielo e celebrare questo trionfo, reso ancora più iconico da quanto avvenuto.
Tornando ai giorni nostri, non fa quindi tanto rumore il fatto in sé, che tristemente di tanto in tanto si ripete da decenni ormai. A far scalpore è invece la decisione della squadra di Kuss, la Jumbo-Visma, che ha deciso di sporre denuncia verso il tifoso, identificato nei giorni successivi al fattaccio. La speranza è che tale risposta possa fungere da deterrente, aumentando la consapevolezza dei tanti che affollano le strade dei Grandi Giri, troppo spesso – ahimè – con fare distratto.