La proposta di legge sul salario minimo presentata dalle opposizioni – ad eccezione di Italia viva – arriva domani in Aula dopo la decisione della maggioranza di non votare l’emendamento soppressivo che avrebbe ne determinato il tramonto.
Il cambio di rotta, evidenziato dalla timida apertura della premier Meloni, non chiarisce tuttavia quale posizione intenderà tenere il centrodestra sul tema. L’ipotesi più probabile è che domani le forze di Governo propongano una sospensiva sul testo rimandando la discussione parlamentare fino alla fine di settembre.
Sulla proposta di legge sul salario minimo le opposizioni registrano dunque la prima piccola vittoria di questa legislatura. Dopo mesi di no - complici anche i sondaggi che indicano chiaramente il favore degli italiani all'istituzione di una soglia minima di retribuzione oraria - la premier Meloni ha infatti aperto ad una discussione con le forze di minoranza, seppur non nascondendo qualche dubbio.
Il doppio registro utilizzato dalle forze di Governo in queste settimane, tuttavia, non convince pienamente le opposizioni che non dimenticano i durissimi commenti dei ministri Tajani e Musumeci dei giorni scorsi. Punto, questo, sottolineato anche Leonardo Donno, deputato del Movimento 5 Stelle, in questa intervista esclusiva per TAG24.
Onorevole Donno, l'apertura della maggioranza al salario minimo è un buon segnale o teme che il Governo cercherà di prendere tempo facendo slittare la discussione a settembre?
Sicuramente ad oggi non mi ritengo sollevato. Mettiamo in fila gli eventi: fino a pochi giorni fa il centrodestra si dichiarava assolutamente contrario al salario minimo. Non a caso il ministro Tajani parlava di misura da «Unione Sovietica» e il ministro Musumeci di «assistenzialismo».
Poi sono usciti i sondaggi che dicono che tre italiani su quattro, compresi gli elettori di centrodestra, sono favorevoli al salario minimo. Improvvisamente la posizione del Governo è cambiata.
Come ci si può fidare di un’apertura che è un evidente calcolo elettorale? Noi del Movimento 5 Stelle parliamo di salario minimo dal 2013. Nella nostra storia abbiamo sempre dimostrato attenzione ai lavoratori.
Siamo convinti che sia fondamentale fissare quanto prima un salario minimo perché ci sono quasi quattro milioni di lavoratori poveri che guadagnano meno di 1.000 euro al mese. Con la nostra proposta i salari aumenterebbero di almeno 800 euro l’anno. Si tratta di un intervento urgente, ma purtroppo quando ci sono le emergenze questo Governo preferisce non affrontare i problemi.
Il M5S è disposto a ridiscutere la proposta presentata con il Governo o ritiene che il testo vada approvato così come presentato?
La nostra proposta è lì, nero su bianco, mentre ad oggi non sappiamo quale sia quella del Governo. Noi siamo sempre disponibili al dialogo, ma nei fatti la maggioranza non si è voluta mai confrontare sul merito.
L’unico emendamento che è stato presentato sul tema è quello per cancellare la nostra proposta di legge. All’apertura della presidente del Consiglio non corrisponde nessun atto ufficiale di Palazzo Chigi. Di fatto oggi non esiste nessuna proposta concreta sulla quale potersi confrontare.
Una parte del mondo politico, sindacale ed economico crede che l'individuazione della soglia minima dei 9 euro possa svantaggiare alcune categorie di lavoratori. Ci spiega perché ritiene non sia così?
La nostra proposta prevede l’introduzione di una soglia minima di salario, non massima. In questo modo, vogliamo dare maggiore forza alla contrattazione collettiva «sana», mettendo fuorigioco i cosiddetti contratti «pirata». Il nostro obiettivo è dare uno strumento in più alle parti sociali per far sì che tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori abbiano salari che non scendano sotto i 9 euro orari.
Portando avanti la narrazione secondo cui con il salario minimo le paghe scenderebbero, il centrodestra sembra dire implicitamente che, una volta stabilita una soglia per legge, sindacati e associazioni datoriali si metteranno a tavolino per abbassare gli stipendi dei lavoratori. Non proprio un attestato di stima nei loro confronti, soprattutto perché arriva da partiti che si dicono al fianco delle imprese.
C’è poi, credo, una dose di ignoranza. Sembra che la maggioranza non sappia che in 21 paesi dei 27 dell’Unione Europea il salario minimo legale già esiste.
Uno studio dell’università di Harvard ha spiegato chiaramente come in Germania l’introduzione del salario minimo abbia aumentato non solo gli stipendi, ma anche i posti di lavoro e il Pil. La Germania, che è partita da un minimo di 8,50 euro, ora sta discutendo per arrivare a 12,40 euro. Nel caso tedesco non mancarono le opposizioni, ma ora i risultati sono evidenti.
Cosa pensa della controproposta avanzata da Forza Italia per l'adeguamento degli stipendi ai contratti collettivi?
La proposta di Forza Italia è scritta male e per questo, laddove trovasse riscontro, darebbe una risposta assolutamente parziale al problema del lavoro povero. Mi sembra che si facciano tante chiacchiere da bar, soprattutto quando esponenti come Tajani parlano di «salario ricco».
Per noi è fondamentale che sia fissata una soglia minima di dignità di 9 euro lordi l’ora. Questa base deve essere il punto di partenza da cui partire per discutere con la maggioranza di eventuali iniziative migliorative. Il problema, come detto, è che non sembra ci siano i presupposti.
Un ordine del giorno presentato da FdI alla legge di delega fiscale prevede la possibilità di fermare i contenziosi con l'Agenzia delle Entrate al primo appello se a vincere è il contribuente. Cosa ne pensa?
Nei provvedimenti di questa maggioranza si intravede chiaramente la tendenza a strizzare l’occhio ai furbetti e agli evasori. Nel caso specifico, credo che questo ordine del giorno sia sbagliato ed eccessivamente punitivo nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Noi avevamo proposto un diverso emendamento alla delega fiscale chiedendo che l’Agenzia delle Entrate, per fare appello in caso di assoluzione del contribuente in primo grado, debba fornire una motivazione supplementare e precisa. Questa soluzione permetterebbe di non creare esasperazioni e conflitti istituzionali. Si tratta di un approccio opposto a quello del centrodestra che sembra favorire condotte che non fanno bene al Paese.
La mozione di sfiducia alla ministra Santanché è stata respinta. Questione chiusa?
Dobbiamo rilevare come la Presidente del Consiglio Meloni utilizzi una doppia morale. Quando era all’opposizione chiedeva che i rappresentanti delle istituzioni avessero condotte compatibili con i ruoli ricoperti. Oggi, da Palazzo Chigi, tace di fronte al caso Santanché nonostante la presenza di un palese conflitto di interessi.
In qualsiasi altra parte del mondo, la ministra si sarebbe già dimessa. In Italia invece si proteggono gli esponenti di spicco del partito della premier.
Tra l’altro i membri e gli elettori di Fratelli d’Italia dovrebbero ricordare che nel loro codice etico c’è scritto nero su bianco che non si deve operare in situazioni di conflitto d’interessi e che è necessario dimettersi in caso di vicende giudiziarie.
Le loro parole, tuttavia, non trovano riscontro nei fatti. Noi abbiamo votato convintamente la sfiducia al ministro Santanchè. Purtroppo una parte dell’opposizione ha preferito disertare l’Aula. La nostra battaglia continua: siamo convinti che la ministra Santanchè non possa più ricoprire quell’incarico. Su questo non arretreremo di un millimetro.