Insegnare ai giovani come relazionarsi tra loro e con gli altri in modo sano e costruttivo. Questo l'obiettivo del Ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, mediante una proposta sperimentale volta ad introdurre un'ora dedicata all'affettività, per comprendere al meglio le basi del rispetto reciproco, della gestione dei sentimenti e del dolore.
I potenziali incontri saranno in gruppo e moderati da insegnanti con la partecipazione in qualità di ospiti di avvocati, psicologi, assistenti sociali e rappresentanti di centri anti-violenza.
Tag24 ha intervistato Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione Nazionale Presidi, in merito alla proposta che verrà presentata dal ministro Valditara.
D. Cosa ne pensa dell'introduzione della educazione sentimentale a scuola?
R. E' sicuramente positivo ma ci tengo a dire che in tante scuole l'educazione sentimentale si fa già da molto tempo. Magari in maniera estemporanea, su iniziativa dei singoli docenti, ma è qualcosa che si è sempre fatto.
D. Da quanti anni è in atto?
R. Innanzitutto "l'educazione sentimentale" non è una materia e non può essere vista come tale. Si fa affettività quando si studiano in classe i Promessi Sposi e si trattano i problemi legati e alle figure e ai personaggi del libro. Si tratta di far sviluppare negli adolescenti, presi dal turbinio della loro età, come comportarsi con gli altri e gestire i loro sentimenti, qualcosa inerente al processo di crescita. La scuola può farlo insegnando, trattando argomenti culturali che aiutano a sviluppare ai ragazzi un proprio pensiero e personalità sull'argomento.
D. Non le sembra che ci sia una tendenza a scaricare tutte le responsabilità sulla scuola, quando l'educazione dovrebbe passare prima di tutto in famiglia?
R. Sì e no. Quando si parla di famiglia oggi noi dobbiamo aver presente che non è più quella di un tempo. Un ragazzo che proviene da una famiglia che ha difficoltà culturali non può trovare nei genitori o nei fratelli un supporto di cui ha bisogno, può trovarlo soltanto nella scuola. Non è corretto parlare di responsabilità da parte del corpo docente, può aiutare a creare degli spunti per una personalità equilibrata ma non è colpa del sistema scolastico se un 24enne accoltella un coetaneo. Se un giovane impazzisce, la scuola non è una appendice del sistema sanitario.
D. Ci sono modelli negativi che i ragazzi seguono veicolati dai profili social e la musica trap?
R. Spesso gli esempi televisivi o sui social non sono sempre edificanti, sono degli strumenti molto potenti, in grado di influenzare il modo in cui i ragazzi vedono le relazioni con i propri coetanei, e non sempre sono i messaggi più corretti possibile. C'è la necessità di equipaggiare i ragazzi con una capacità di spirito ed analisi critica di quello che vedono e che insegni loro a capire certi messaggi, distinguendo il videogioco dalla realtà. Questo è importante e la scuola può dare un contributo. Se si parla di un'ora, due ore a settimana soltanto, di certo non si risolve il problema.
D. C'è anche un aumento della violenza sui professori da dove nasce questo disprezzo nei confronti della figura educativa?
R. Alla tematica dell'educazione dedichiamo poca attenzione, bisognerebbe dare più importanza alla scuola, e renderla una esperienza più significativa nella vita di tutti noi. Invece spesso vediamo che i genitori si oppongono ai docenti e ne depotenziano la figura ed il ruolo, perché gli alunni non rispettano più l'autorità incarnata dal docente. Ci sono dei casi isolati, anche se numerosi, che fanno parte della sfera dei comportamenti del singolo. Tenderei a non generalizzare gli episodi più deplorevoli e molto gravi che si ripetono di tanto in tanto, come una situazione generale, perché non è così. Abbiamo 8 milioni di studenti, su tanti giovani può esserci quello che si comporta molto fuori dai canoni. La risonanza che viene data dai media e dai canali social è molto elevata e non mi stupirei se i casi oggi fossero meno ma propagandati di più.