Nella vita lavorativa, si possono verificare situazioni in cui un dipendente è costretto ad assentarsi per un lungo periodo a causa di una malattia. Questo può portare al superamento del cosiddetto "periodo di comporto", dopo il quale il lavoratore rischia il licenziamento. Per evitare tale eventualità, il dipendente potrebbe considerare di convertire il periodo di malattia in ferie o richiedere un periodo di aspettativa non retribuita. Queste soluzioni mirano a preservare il posto di lavoro, ma è importante comprendere la loro fattibilità e le implicazioni legali.
La Corte di Cassazione si è espressa in merito alla possibilità di convertire il periodo di malattia in ferie. È stato riconosciuto che negare tale conversione e procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto sarebbe illegittimo. Questa interpretazione si basa sul principio che non esiste un'incompatibilità assoluta tra ferie e malattia. Il lavoratore ha il diritto di sospendere il decorso del periodo di comporto attraverso la fruizione delle ferie maturate, proteggendo così il proprio posto di lavoro.
Infatti, durante un rapporto di lavoro, il dipendente può trovarsi in diverse situazioni di assenza, come malattia, ferie o richiesta di aspettativa. La malattia implica una parziale o totale incapacità lavorativa, durante la quale il lavoratore è tutelato dalla legge attraverso la conservazione del posto di lavoro e il diritto a una retribuzione o indennità. Al contrario, le ferie sono un diritto irrinunciabile, finalizzato al recupero fisico e mentale, mentre l'aspettativa non retribuita è un periodo di assenza giustificata che non prevede pagamento della retribuzione, ma garantisce la conservazione del posto.
Le ferie maturano annualmente e la loro fruizione è soggetta alla pianificazione dell'azienda. Ogni lavoratore ha diritto ad almeno quattro settimane di ferie all'anno, che devono essere godute in modo continuativo o frazionato, seguendo la programmazione del datore di lavoro. Le ferie non possono essere monetizzate e la loro richiesta deve considerare le esigenze aziendali.
L'aspettativa non retribuita è un'opzione per il lavoratore che necessita di sospendere temporaneamente l'attività lavorativa per motivi familiari, di formazione, di volontariato o per altre ragioni valide. Questa scelta comporta l'interruzione del pagamento della retribuzione, ma assicura la conservazione del posto di lavoro. La richiesta di aspettativa deve essere formalizzata e documentata, e il datore di lavoro deve motivare eventuali dinieghi.
In caso di malattia prolungata, il superamento del periodo di comporto stabilito dalla legge o dai contratti collettivi può portare al licenziamento del lavoratore. I CCNL variano nella definizione del comporto, che può essere calcolato in modo consecutivo o cumulativo. La legge stabilisce che il licenziamento post-comporto non richiede la dimostrazione di giusta causa o giustificato motivo, ma deve rispettare il preavviso legale.
La possibilità per il lavoratore malato di convertire la malattia in ferie per sospendere il decorso del periodo di comporto è stata oggetto di varie interpretazioni giuridiche. L'articolo 2110 del codice civile attribuisce al lavoratore malato il diritto di assentarsi dal lavoro, con la possibilità, da parte del datore, di recedere dal rapporto solo dopo un determinato periodo di tempo. La giurisprudenza ha oscillato tra soluzioni diverse, valutando caso per caso se il lavoratore malato abbia il diritto di essere collocato formalmente in ferie per evitare il licenziamento.
La giurisprudenza italiana, in particolare la Cassazione, ha avuto un ruolo fondamentale nel modellare il diritto del lavoratore di convertire le assenze per malattia in ferie. Inizialmente, una sentenza del 1987 aveva generato un'interpretazione che sembrava indicare un principio di conversione automatica delle assenze per malattia in ferie. Questa interpretazione è stata poi oggetto di revisione e perplessità, in quanto la Corte Costituzionale aveva definito le ferie come un periodo destinato alla reintegrazione delle energie psicofisiche, evidentemente in contrasto con lo stato di malattia.
La giurisprudenza ha quindi adottato un approccio più bilanciato, riconoscendo che la decisione di convertire la malattia in ferie non può essere automatica, ma deve considerare sia le esigenze del lavoratore di conservare il proprio posto di lavoro sia quelle organizzative del datore di lavoro. Di conseguenza, la determinazione del periodo di ferie deve armonizzare queste esigenze, tenendo conto dei principi generali di correttezza e buona fede contrattuale.
Nonostante non esista una normativa specifica che obblighi il datore di lavoro ad accettare la conversione della malattia in ferie, la Cassazione ha sottolineato che il datore di lavoro è comunque tenuto a dimostrare di aver preso in considerazione l'interesse del lavoratore di evitare la perdita del posto di lavoro. Il rifiuto di concedere le ferie deve essere giustificato da validi motivi, come la presenza di un interesse aziendale superiore che ostacoli la concessione delle ferie.
La giurisprudenza ha chiarito che il lavoratore ha il diritto di richiedere le ferie maturate in sostituzione del periodo di malattia, con l'obiettivo di interrompere il decorso del periodo di comporto. Tuttavia, questa richiesta non è automatica e richiede un'iniziativa attiva da parte del lavoratore, che deve presentare una domanda specifica prima della scadenza del periodo di comporto.
Il datore di lavoro, ricevuta la richiesta di conversione della malattia in ferie, ha il dovere di valutare attentamente questa possibilità. Deve considerare sia l'interesse del lavoratore sia le esigenze organizzative aziendali, e qualsiasi rifiuto deve essere basato su ragioni concrete ed effettive. In assenza di un interesse imprenditoriale incompatibile, il rifiuto può essere considerato illegittimo.