Cos’è il maladaptive daydreaming? Se fantasticare è una delle caratteristiche peculiari dell’essere umano, per alcuni individui perdersi nei propri pensieri può degenerare in un vero e proprio disturbo psicologico.
Gli esperti hanno attribuito a questo malessere l’espressione maladaptive daydreaming e si tratta appunto di un’eccessiva attività di fantasia che sostituisce le interazioni umane e/o interferisce con l’attività accademica, interpersonale o professionale.
Chi soffre di maladaptive daydreaming arriva a sognare ad occhi aperti per lunghi periodi. In pratica il soggetto si distacca dalla realtà per un lasso di tempo che può durare anche più ore consecutive.
Al momento questo disturbo non rientra all’interno del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM. Allo stesso modo anche la ricerca per individuare appieno le cause e le modalità più efficaci di diagnosi procede a rilento.
Il primo esperto in materia a dedicarsi allo studio di questo disturbo è stato lo psicologo clinico israeliano Eli Somer, dell’Università di Haifa, a cui peraltro si attribuisce la paternità dell’espressione usata per descriverlo.
Eli Somer aveva analizzato i sintomi mostrati da sei specifici pazienti e come questi soggetti avessero un bisogno inarrestabile di staccarsi dalla realtà per fantasticare. Nel suo studio, lo psicologo era stato colpito dalla frequenza e dall’impellenza di perdersi nei propri pensieri da parte di questi soggetti.
Non si tratta però solo di una durata eccessiva di disattenzione legata alle fantasticherie ma soprattutto come questi pensieri irreali fossero molto intricati e descrivessero un intreccio piuttosto complesso. L’individuo costruisce proprio una vita parallela in cui inserisce anche diversi personaggi oltre al ruolo da protagonista per se stesso.
Uno dei pazienti del dottor Somer si perdeva in un’illusione sentimentale in conseguenza al trauma subito per l’interruzione di una storia coniugale avvenuta nella realtà. In un altro caso, un soggetto estremamente introverso e che non aveva alcun’interazione sociale costruiva nella sua mente ore e ore di conversazioni con altre persone.
Come testimoniato dai primi casi studiati, il maladaptive daydreaming è principalmente causato da un evento traumatico. Il disturbo sarebbe dunque il modo che l’inconscio mette in atto per non affrontare l’accadimento negativo nella vita reale. In altre circostanze possono subentrare ulteriori fattori.
Tra essi troviamo un forte stato di ansia e depressione, deficit da attenzione e iperattività o un disturbo dissociativo. Proprio alcuni ricercatori ritengono che il maladaptive daydreaming debba essere inteso come una variante di quest’ultima malattia mentale.
Passando poi al quadro sintomatologico, chi soffre di questa malattia generalmente mostra disattenzione frequente e palese catatonia. Il comportamento è assolutamente involontario. Il soggetto finisce inconsciamente per sognare letteralmente ad occhi aperti distaccandosi completamente dal mondo reale che lo circonda.
Questa attitudine arriva però a compromettere le attività della vita quotidiana. L’individuo tende ad evitare le interazioni sociali e si chiude nella propria solitudine. Ciò, di conseguenza, causa problemi in ambito lavorativo o scolastico e non di rado si arriva ad un senso di colpa per non riuscire a smettere razionalmente di abbandonarsi alle fantasie mentali.
Secondo i dati più recenti, di maladaptive daydreaming soffrirebbero fino al 2,5 % della popolazione. Questo numero tuttavia è affetto dalle già citate problematiche per una diagnosi ufficiale del disturbo.
I criteri per la sua valutazione sono infatti molto variabili ed è quindi possibile che la cifra sottostimi la sua diffusione. Le statistiche poi evidenziano come il malessere colpisca soprattutto in età giovanile.
L’aspetto terapeutico si basa sul costante controllo da parte di esperti del settore psichiatrico e psicologico. L’aiuto deve tenere presente innanzi tutto che il maladaptive daydreaming è equiparabile ad una dipendenza, poiché il paziente non riesce a frenare l’impulso in maniera autonoma.
Poiché però il disturbo non rientra nelle malattie mentali ufficiali, non esiste al momento un trattamento terapeutico standardizzato. Sarà lo specialista a fornire un piano personalizzato sul singolo paziente. Quando la sola terapia di tipo cognitivo comportamentale non risulta da sola efficace, lo specialista potrà avvalersi della somministrazione di farmaci ansiolitici o antidepressivi.