Nel contesto della gestione fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio, si evidenziano le normative e le prassi amministrative che regolano tali compensi erogati dai fondi di previdenza. Questi fondi, istituiti per garantire supporto previdenziale e assistenziale ai loro iscritti, si avvalgono di regimi fiscali particolari per la gestione delle risorse accumulate attraverso sanzioni pecuniarie e altri proventi.
Nel caso preso in esame dall’Agenzia delle Entrate, il Fondo di previdenza in questione, stabilito dalla legge del 20 ottobre 1960 e regolamentato successivamente, opera con una completa autonomia gestionale, amministrativa, patrimoniale e finanziaria. Dotato di personalità giuridica propria, il Fondo è amministrato da un Consiglio di Amministrazione e vigilato da figure istituzionali come il Comandante Generale del Corpo. Inoltre, il bilancio del Fondo è soggetto al controllo della Corte dei Conti, assicurando trasparenza e conformità alle normative vigenti.
Le principali entrate del Fondo derivano dalle sanzioni pecuniarie imposte durante l'attività accertativa, nonché da altre fonti come redditi patrimoniali e proventi istituzionali. Queste risorse sono fondamentali per il finanziamento delle indennità di buonuscita aggiuntive, le quali, secondo l'articolo 7 dello Statuto del Fondo, sono finanziate per il 65% dalle entrate correnti annue.
L'indennità aggiuntiva, erogata al momento del collocamento in congedo del militare dopo almeno nove anni di servizio, è sottoposta a una tassazione separata. Questa modalità di tassazione, prevista dall'art. 17 del D.P.R. n. 917/1986, permette di applicare un'imposizione fiscale ridotta rispetto alla normale aliquota applicata sui redditi. L'importo imponibile di tale indennità può essere ulteriormente ridotto in base a specifiche disposizioni del Tuir.
Il Fondo ha sollevato questioni riguardanti l'estensione della qualificazione di "indennità equipollenti" anche all'indennità aggiuntiva, suggerendo che tale trattamento possa comportare una determinazione dell'imponibile più favorevole. Questa interpretazione mira ad allineare la fiscalità dell'indennità aggiuntiva con quella già applicata a simili tipologie di indennità, sostenuta da recenti pronunce della Suprema Corte che ne riconoscono la funzione previdenziale.
La normativa italiana, specificatamente attraverso il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir) stabilito dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, presenta disposizioni dettagliate sul trattamento fiscale delle indennità di fine rapporto e altre somme correlate. Queste indennità, per la loro natura di accumulo pluriennale, non sono soggette alla tassazione ordinaria, ma piuttosto a un regime di tassazione separata.
Secondo l'articolo 17 del Tuir, sono diverse le categorie di redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente che vengono tassate separatamente. Tra queste, spiccano il trattamento di fine rapporto previsto dall'art. 2120 del codice civile e le cosiddette indennità equipollenti, che includono anche somme percepite una tantum alla cessazione dei rapporti di lavoro, indennità di preavviso, e compensi derivanti da non concorrenza secondo l'art. 2125 del codice civile.
Il procedimento per determinare l'imposta sul trattamento di fine rapporto è articolato e si basa su una serie di calcoli specifici delineati nell'articolo 19 del Tuir. L'imposta è calcolata in funzione dell'anno di maturazione del diritto alla somma, prendendo in considerazione il totale aumentato delle somme destinate a forme pensionistiche e al netto delle rivalutazioni già tassate. Gli uffici finanziari hanno il compito di ricalcolare l'imposta basandosi sull'aliquota media di tassazione degli anni precedenti.
Per le altre indennità, definite nell'art. 17 del Tuir, la legge prevede che siano imponibili per il loro valore totale, al netto dei contributi obbligatori. Per quelle indennità legate alla durata del rapporto di lavoro, è prevista una riduzione dell'imponibile basata su una somma fissa per ogni anno di servizio, modificando il calcolo dell'aliquota impositiva in modo proporzionale.
La circolare del Ministero delle Finanze del 5 febbraio 1986, n. 2, ha fornito importanti chiarimenti sulle indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, spesso applicabili ai pubblici dipendenti. Questa prassi amministrativa ha aiutato a definire quali indennità possono essere considerate equipollenti al TFR, e come queste siano assegnate principalmente in caso di cessazione del rapporto di lavoro pubblico.
Negli ultimi anni, diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno influenzato l'interpretazione delle norme relative alle indennità di fine rapporto, riconoscendo a certe somme la natura di "indennità equipollenti" e quindi soggette a tassazione separata. Questo orientamento giurisprudenziale si è consolidato nonostante le resistenze iniziali da parte dell'Amministrazione finanziaria.