L'età di accesso alla pensione anticipata per le donne è diventata più articolata rispetto al passato. Se non ci fossero particolari dubbi sulle ristrutturazioni di un sistema con modifiche nei requisiti e modalità di calcolo che tendono a penalizzare le lavoratrici, il futuro previdenziale apparirebbe molto più semplice.
Ormai, la versione Opzione donna mette in difficoltà le donne, non tutte ammesse alla pensione anticipata. Tuttavia, ciò che appare sono le diverse possibilità contenute nel sistema previdenziale che non si accostano a uscite "privilegiate", ma permettono l'accesso alla pensione per le donne. Vediamo insieme a che età vanno in pensione le donne in Italia.
La Legge di Bilancio 2024 ha modificato i requisiti principali per il pensionamento anticipato femminile, rendendolo meno accessibile. Risultato? L'Opzione donna è accessibile per le lavoratrici che compiono 61 anni di età con 35 anni di contributi e appartengono solo a tre categorie di lavoratrici:
Ai fini del riconoscimento della pensione anticipata Opzione donna, tali requisiti devono risultare maturati entro il 31 dicembre 2023. Inoltre, il requisito anagrafico viene ridotto a 60 anni di età con un figlio, e fino a 59 anni con 2 o più figli.
Le attuali norme per l'uscita dal lavoro per raggiungere la pensione sono disciplinate dalla legge Fornero del 2011.
Nel corso dell'ultimo decennio, sono stati introdotti diversi provvedimenti per consentire un pensionamento anticipato flessibile, culminando nei criteri attualmente in vigore.
Tanto è vero che sono operative le regole poste in essere dalla legge Fornero che portano a una pensione di vecchiaia a 67 anni di età accompagnata da 20 anni di versamenti contributivi.
Per le donne in possesso di un’invalidità certificata dalla commissione medica ASL – INPS dell’80%, l’accesso alla pensione può essere richiesto a 56 anni di età, mentre per gli uomini a 61 anni di età.
Se, invece, le lavoratrici non soddisfano i criteri sopra elencati, per andare in pensione devono compiere 71 anni di età accompagnati da 5 anni di versamenti contributivi.
È anche vero che l'età per la pensione per le donne prive di contribuzione prima del 1996, oppure sono iscritte alla gestione Separata (art. 3 D.M. n. 282/1996), è di 64 anni di età con un accumulo contributivo di 20 anni.
In questo caso, l’accesso all’opzione contributiva permette di anticipare la pensione di 3 anni rispetto ai 67 anni di età previsti per la pensione di vecchiaia.
Tuttavia, è necessario considerare che l’assegno corrisposto dall’INPS non può risultare superiore a 3 volte il trattamento minimo vitale. Un maggior vantaggio arriva sulla riduzione dell’assegno di 2,8 volte l’assegno sociale per un figlio e di 2,6 volte per due o più figli.
Resta inteso che le donne che compiono 62 anni di età e hanno maturato 41 anni di versamenti possono ritirarsi dal lavoro con la misura Quota 103. Accettando un assegno calcolato integralmente con il sistema contributivo e un importo di 4 volte l’assegno sociale, fino al compimento dei 67 anni di età.
Adesso, tolta la pensione anticipata tramite l’opzione contributiva, resta l’accesso all’anticipo pensionistico Ape sociale a 63 anni e 5 mesi di età, accompagnato da un accumulo contributivo di almeno 30 anni di versamenti.
Ora, nonostante i requisiti maturati, non tutte le lavoratrici possono accedere a questo trattamento. La norma richiede la presenza di una delle categorie meritevoli di tutela, come ad esempio stato di disoccupazione, invalidità civile, caregiver o situazioni gravose.
Il motivo è semplice: l’anticipo pensionistico Ape sociale non è una pensione, ma bensì un’indennità riconosciuta a coloro che versano in uno stato di difficoltà; non ci sono insomma aperture per tutte le lavoratrici.
Di conseguenza, l’accesso al trattamento garantisce un assegno mensile fino a 1.500 euro al mese per dodici mensilità, escludendo la tredicesima mensilità.
Oltretutto, il trattamento non viene rivalutato, né integrato al trattamento minimo e cessa in caso di decesso del titolare; pertanto, non è reversibile ai superstiti.
Con il risultato che al compimento dei 67 anni di età viene trasformato in pensione di vecchiaia o in altro trattamento ordinario, con tutti i diritti non previsti nell’Ape sociale.