Il concetto di rimborso chilometrico riveste un ruolo molto importante nel settore del food delivery, specialmente quando i lavoratori, come i rider, utilizzano i propri mezzi per effettuare le consegne. Questa pratica non solo facilita l'organizzazione logistica delle aziende, ma influisce anche sulla gestione fiscale dei compensi dei rider. Andiamo a vedere quali sono le modalità di calcolo e le implicazioni fiscali di tali rimborsi, ponendo in evidenza come essi siano esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente secondo le normative vigenti.
Le aziende nel settore del food delivery spesso adottano un modello operativo che prevede l'uso di mezzi propri da parte dei rider per l'espletamento delle consegne. Questa scelta organizzativa permette una maggiore flessibilità e una riduzione dei costi infrastrutturali per l'azienda, come l'eliminazione della necessità di un hub fisico. I rider, impiegati con contratto di lavoro subordinato, ricevono una indennità forfettaria che copre tutti i costi associati all'uso del mezzo personale, come carburante, usura del veicolo, manutenzione e assicurazione.
Il rimborso chilometrico viene determinato adottando criteri oggettivi basati sulle Tabelle ACI, che forniscono una stima dei costi per chilometro per differenti tipi di veicoli. L'importo specifico del rimborso è calcolato attraverso l'utilizzo di Google Maps per definire il percorso più efficiente e un’app aziendale per tracciare i chilometri effettivamente percorsi. Questi sistemi hanno il compito di garantire l’accuratezza e la precisione del calcolo e prevenire abusi nel conteggio dei chilometri percorsi.
Dal punto di vista fiscale, le somme percepite dai rider a titolo di rimborso chilometrico non rientrano nella formazione del reddito imponibile di lavoro dipendente. Ciò significa che tali importi non sono soggetti alle consuete ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali. Questa esclusione si basa sul principio che il rimborso è destinato a coprire spese effettivamente sostenute dal lavoratore per l'adempimento delle sue funzioni lavorative e non costituisce un reddito aggiuntivo.
Secondo il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), precisamente l'articolo 49, i redditi di lavoro dipendente sono determinati con un principio di onnicomprensività, il che significa che ogni forma di compensazione ricevuta dal lavoratore rientra nel reddito imponibile. Tuttavia, ci sono eccezioni significative che riguardano i rimborsi spese come quelli chilometrici.
Diverse interpretazioni normative e circolari, come la risoluzione 20 giugno 2017, n. 74/E del TUIR, chiariscono che le spese rimborsate al lavoratore che non arricchiscono direttamente il suo patrimonio personale non contribuiscono al reddito imponibile. Questo include i rimborsi chilometrici forfettari, calcolati su base oggettiva e documentabile, che sono destinati esclusivamente a coprire costi sostenuti esclusivamente nell'interesse del datore di lavoro.
Un elemento chiave nella gestione di tali rimborsi è l'Accordo Integrativo Aziendale, che stabilisce le modalità di calcolo e erogazione del rimborso chilometrico. L'accordo, spesso ratificato con le organizzazioni sindacali, garantisce che il rimborso sia calcolato in modo equo e conforme alle normative vigenti, utilizzando, come anticipato, strumenti come Google Maps per determinare il percorso ottimale e una app aziendale per il tracciamento dei chilometri.
Analizzando il caso specifico di un rider che usa un mezzo proprio piuttosto che quello aziendale, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il rimborso chilometrico non sia imponibile ai fini Irpef, in quanto garantisce un vantaggio per il datore di lavoro, rimandando però alle Amministrazioni di riferimento qualsiasi altra valutazione in ambito previdenziale, assistenziale e giuslavorista, che non è potuto essere compreso nella istanza di interpello presentata.