Torna la pensione anticipata di 5 anni all'età di 62 anni o con 37 anni e 10 mesi di contributi versati. A prevederlo per il 2024 è un emendamento della relatrice Tiziana Nisini del partito della Lega al pacchetto del Lavoro, ad oggi in Commissione Lavoro della Camera con a capo Walter Rizzetto.
Si tratta di una misura contenuta nei contratti di espansione che consente di anticipare la pensione per un periodo massimo di 60 mesi, sia in riferimento all'obiettivo di abbattere i requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia (62 anni) che per la pensione anticipata dei soli contributi a prescindere dall'età di uscita (per le donne si parte dai 36 anni e 10 mesi, con un anno di sconto rispetto agli uomini).
La misura, già sperimentata per un quadriennio, ha cessato i suoi effetti il 31 dicembre 2023, con gli ultimi rapporti di lavoro cessati alla fine di novembre scorso. L'alternativa all'accorciamento dei requisiti di pensionamento è la riduzione dell'orario di lavoro. Non mancano le novità nei requisiti richiesti alle imprese per accompagnare i propri dipendenti alla pensione.
Potrebbe tornare a breve lo strumento della pensione anticipata dei contratti di espansione. Un emendamento collegato al Lavoro della relatrice Tiziana Nisini punta a ripristinare, con qualche novità, la misura di accompagnamento alla pensione che è stata in vigore tra il 2019 e il 2023.
Come nella precedente edizione, si partirebbe dai lavoratori delle imprese con più dipendenti per poi, eventualmente, accorciare il requisito degli addetti per allargare la base delle aziende coinvolte. Nell'emendamento si parla delle imprese con almeno 200 addetti che potrebbero sperimentare la formula di accompagnamento alla pensione con 60 mesi di anticipo rispetto alla vecchiaia o all'anticipata dei soli contributi o la riduzione dell'orario di lavoro per gli addetti prossimi alla pensione.
Si ricorda che, nel momento di introduzione della misura dall'allora fine del governo Conte I, le imprese interessate erano quelle con almeno 1.000 addetti. Gli interventi legislativi successivi hanno ridotto la soglia dei lavoratori dell'azienda richiedente. A seguito delle modifiche della legge 178 del 2020 e della legge 234 del 2021, le condizioni di accesso ai contratti di espansione erano state riservate alle imprese con almeno 500 addetti, 250 per i lavoratori nel caso di accompagnamento alla pensione.
Successivamente, questa soglia è stata ulteriormente ridotta: dal 26 maggio 2021 (governo di Mario Draghi), il requisito minimo è sceso a 100 addetti e, dal 1° gennaio 2022, il requisito minimo ha interessato le 50 unità lavorative fino al 31 dicembre 2023.
Lo strumento dei contratti di espansione necessita di un accordo tra i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali aziendali, passaggio che precede la successiva adesione da parte dei lavoratori. Ciascun addetto ha la possibilità di accettare o meno la proposta di riduzione dell'orario di lavoro o di accompagnamento alla pensione, una volta che il datore di lavoro abbia trovato l'accordo sindacale, ratificato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
In tale ipotesi, spetta al datore di lavoro versare al lavoratore un'indennità calcolata sui contributi maturati fino al momento dello scivolo e per una durata da calcolare fino alla maturazione dei requisiti necessari per la pensione di vecchiaia o di quella anticipata, a seconda dell'obiettivo scelto.
Tale indennità può essere coperta dall'indennità di disoccupazione Naspi da parte dell'Inps per la durata spettante al lavoratore (ad esempio, per due anni), mentre nel caso dell'obiettivo della pensione anticipata, oltre all'indennità mensile, al lavoratore spetta anche l'integrazione dei contributi previdenziali aggiuntivi per il periodo di scivolo. Qualora i requisiti per il pensionamento sono insussistenti si può ricorrere alla riduzione dell'orario di lavoro per favorire il ricambio generazionale.