La pensione di importo più basso può essere determinata, paradossalmente, dall’esercizio del riscatto della laurea che avrebbe dovuto avere l’effetto opposto, ovvero quello di aumentare il trattamento mensile. La Corte costituzionale, tuttavia, ha deciso per la non neutralizzazione degli effetti del riscatto della laurea, ovvero della non possibilità, per il contribuente che abbia richiesto la valorizzazione dei periodi di studio universitari, di tornare indietro e di eliminare gli effetti prodotti dall’operazione.
Nello specifico, il contribuente aveva effettuato il riscatto della laurea nel periodo pre-contributivo puro, ovvero per anni di studio collocati prima del 1° gennaio 1996, guadagnando, con il riscatto stesso, il passaggio dal sistema previdenziale misto di calcolo della pensione al miglior sistema, ovvero quello retributivo. Tuttavia, nonostante questa operazione, l’importo della pensione si è notevolmente ridotto e la Corte costituzionale si è espressa nel senso di non neutralizzazione degli effetti prodotti dal riscatto laurea che hanno prodotto questa perdita per il contribuente.
Non sempre il riscatto della laurea comporta un aumento dell’importo della futura pensione, oltre a un accorciamento degli anni che separano alla pensione stessa per effetto dell’aumento del montante contributivo. La Corte di Cassazione è intervenuta con la sentenza numero 112 del 2024 per ribadire la non neutralizzazione degli effetti della valorizzazione degli anni di studio universitari e, dunque, l’impossibilità di tornare indietro alla situazione ante-riscatto.
Il caso è quello di un contribuente che ha riscattato gli anni di corso universitari collocati interamente prima del 1996. Per effetto di questa operazione, la sua situazione di contribuente è passata dal sistema misto al sistema più vantaggioso interamente retributivo, avendo aggiunto anni di contributi prima del 1996 e raggiunto i 18 anni fino al 31 dicembre 1995, limite minimo richiesto per appartenere a questo sistema. Il sistema misto, dopo la riforma delle pensioni di Elsa Fornero, applica il calcolo retributivo per i contributi versati fino al 2011 e il sistema contributivo per gli anni di lavoro dal 2012 in poi.
Nel 2019, all’età di 64 anni, il lavoratore è andato in pensione con quota 100 (età minima 62 anni e 38 anni di contributi, requisito ampiamente maturato grazie alla contribuzione di 38 anni e 51 settimane). Il riscatto della laurea ha aggiunto ulteriore 145 settimane di anzianità contributiva, tuttavia ininfluenti per il ai fini della maturazione dei requisiti della quota 100.
L’importo pagato dall’Inps mensilmente al contribuente è pari a 9.220,94 euro mensili, per effetto della norma in base alla quale il totale messo in pagamento deve essere più basso tra quello calcolato tutto con il metodo retributivo e quello retributivo post-riforma (articolo 1, comma 707, della legge 190/2014).
Il ricorrente contesta che, senza il riscatto della laurea, il calcolo della pensione con il sistema misto avrebbe assicurato un importo mensile di 11.427,94 euro, paradossalmente più alto del sistema più conveniente retributivo raggiunto grazie al riscatto della laurea.
Per questa ragione il contribuente ha presentato ricorso e chiesto di annullare gli effetti della valorizzazione degli anni di studio universitari, neutralizzando l’avanzamento al sistema retributivo e chiedendo di ritornare al sistema previdenziale misto.
Nell’emettere la sentenza 112 del 2024, la Corte costituzionale spiega che il riscatto della laurea si riferisce a periodi di contribuzione relativi all’inizio dell’attività lavorativa, ininfluenti ai fini dell’importo della futura pensione. La valorizzazione dei periodi di studio universitari, in altre parole, aggiunge solo anzianità contributiva.
Inoltre, la neutralizzazione degli effetti del riscatto per un ritorno al sistema previdenziale misto, in luogo del retributivo, viene risolto dalla Corte costituzionale come una sostanziale pretesa di scelta del sistema di computo del trattamento pensionistico in base a una valutazione ex post, ossia effettuata nel momento del pensionamento, che si pone in contrasto con il principio di certezza del diritto che deve pur sempre presidiare il sistema previdenziale, come già affermato da questa Corte nella sentenza numero 82 del 2017.
Infine, argomenta ancora la Corte costituzionale nel rigettare la richiesta del contribuente, il risultato asseritamente meno favorevole rispetto a quello atteso nasce da un’opzione del lavoratore, che, riscattando gli anni di laurea, ha scelto liberamente il sistema retributivo in luogo di quello misto, in quanto il primo era considerato, all’epoca, generalmente più favorevole per il pensionato.
In linea di massima, conclude la Corte, riscattare la laurea si prefigura come una sorta di negozio aleatorio che, tuttavia, potrebbe non sortire gli effetti sperati dal contribuente nel momento di compimento della scelta.