In una recente sentenza del 28 giugno 2024, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto alla retribuzione per il lavoro straordinario anche in assenza di autorizzazioni formali, in linea con l’articolo 36 della Costituzione. Questo importante verdetto riguarda un caso specifico di un infermiere dell’Ospedale di Reggio Calabria, ma ha implicazioni su tutto il personale del pubblico impiego.
La vicenda ha avuto inizio con un decreto ingiuntivo ottenuto da un infermiere contro l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (ASP). L'infermiere richiedeva il pagamento delle prestazioni straordinarie effettuate durante il servizio di "dialisi estiva" nel 2013, servizio regolarmente retribuito negli anni precedenti e successivi. Tuttavia, la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva revocato il decreto ingiuntivo, affermando che l’autorizzazione regionale, necessaria secondo il decreto legge n. 402 del 2001, non era stata ottenuta.
L’infermiere ha quindi presentato ricorso per Cassazione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17912 del 28 giugno 2024, ha accolto il ricorso, stabilendo che il lavoratore ha diritto alla retribuzione per le prestazioni straordinarie effettuate, nonostante l’assenza delle autorizzazioni formali. La decisione si basa su principi giuridici consolidati e su disposizioni specifiche del Codice civile e della Costituzione.
In particolare, la Corte ha fatto riferimento all’articolo 2126 del Codice civile, che prevede che il lavoro prestato con il consenso del datore di lavoro deve essere retribuito, anche se il consenso non è formalmente espresso ma implicito nel comportamento del datore stesso. La Corte ha rilevato che l’ASP di Reggio Calabria aveva implicitamente accettato le prestazioni dell’infermiere, incaricandolo del servizio di dialisi estiva.
Inoltre, l’articolo 36 della Costituzione afferma che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa. Questo principio costituzionale ha giocato un ruolo cruciale nella decisione della Corte, sottolineando che il diritto alla retribuzione non può essere negato per irregolarità amministrative o violazioni dei limiti di spesa pubblica.
La sentenza della Corte di Cassazione ha implicazioni rilevanti per tutto il personale del pubblico impiego. Essa rafforza il diritto dei lavoratori alla retribuzione per il lavoro straordinario, indipendentemente dalle irregolarità amministrative. La responsabilità per tali irregolarità deve ricadere sui funzionari responsabili, non sui lavoratori.
La contrattazione collettiva, che stabilisce le condizioni e modalità di retribuzione per il lavoro straordinario, deve essere rispettata. La Corte ha chiarito che eventuali errori o omissioni nell’ottenimento delle necessarie autorizzazioni non possono pregiudicare il diritto del lavoratore alla retribuzione per le ore aggiuntive lavorate.
La sentenza sottolinea inoltre la responsabilità dei datori di lavoro nel garantire il rispetto delle normative vigenti e delle condizioni stabilite dai contratti collettivi. Gli errori amministrativi non devono penalizzare i lavoratori che hanno svolto il loro dovere su richiesta dell’azienda.
La Suprema Corte ha ribadito che il consenso alle prestazioni straordinarie può essere implicito e che, una volta esistente, integra gli estremi che rendono necessario il pagamento. Questo principio si applica anche quando l’autorizzazione richiesta risulta illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo.
La Corte ha fatto riferimento a casi simili, come le prestazioni rese a titolo di compenso incentivante o le prestazioni a favore di terzi con il consenso della P.A., dove il debito orario viene superato. In tutti questi casi, la remunerazione del lavoro straordinario è dovuta se il lavoro è stato svolto con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro.