Il 23 settembre 2024 è il giorno in cui è iniziato il processo a Filippo Turetta per l'omicidio di Giulia Cecchettin. Torna sotto i riflettori il caso della studentessa 22enne brutalmente assassinata nel novembre dello scorso anno, con 75 coltellate in un parcheggio di Fossò, in provincia di Venezia. La scrittrice e giornalista Barbara Alberti, ospite del programma "Che rimanga tra noi" di Radio Cusano Campus, è intervenuta nella trasmissione condotta da Alessio Moriggi e Francesca Pierri per una riflessione sulla vicenda.
Nei giorni scorsi il programma televisivo "Quarto grado" ha pubblicato in esclusiva il video dell'interrogatorio di Filippo Turetta, risalente allo scorso 1 dicembre 2023. Una testimonianza in cui emergono le atrocità commesse dal ragazzo che ha spezzato per sempre la vita di Giulia. Rispondendo alle domande degli inquirenti, ha raccontato le dinamiche del feroce omicidio.
L'iter per dare giustizia a Giulia Cecchettin, il cui femminicidio lo scorso anno ha sconvolto l'Italia intera e l'opinione pubblica, prosegue all'interno dell'aula della Corte d'Assise di Venezia con il processo contro l'assassino, il giovane Filippo Turetta.
Il fidanzato della ragazza, secondo quanto dichiarato dall'avvocato che lo assiste, ha richiesto un processo breve, non ha voluto il patteggiamento e punterebbe ad un giudizio immediato. Turetta era assente alla prima udienza, un scelta, secondo quanto commentato dal legale della difesa, dettata dal fatto che sul caso "c'è ancora troppo clamore".
Dopo lo sgomento seguito alla pubblicazione del video dell'interrogatorio di Turetta, Barbara Alberti commenta la vicenda, anticipando ai microfoni di Radio Cusano Campus di non averlo visto, perché contraria alla pubblicazione di materiale di questo genere. La giornalista ha ribadito con veemenza:
"Trovo terribile e terrificante che ci sia questa istigazione al delitto. E' veramente molto pericoloso e poco rispettoso per la vittima. La pubblicazione del video è un qualcosa di pessimo, mi mortifica anche solo parlarne".
Il giovane rischia l'ergastolo e affronterà il processo in quattro udienze. La sentenza dovrebbe essere emessa dai giudici il prossimo 3 dicembre 2024.
Barbara Alberti, nel corso dell'intervista, fa un paragone tra la morte di Giulia Cecchettin e quello che succedeva alle donne in Italia ai tempi in cui nella legislazione era ancora previsto il delitto d'onore, una fattispecie ad hoc contro la figura femminile, messa in atto dagli uomini per salvaguardare l'onore, la reputazione di un matrimonio o di una famiglia.
Padri, fratelli e mariti erano autorizzati dalla legge a mettere fine alla vita di una donna, qualora avesse "macchiato" il buon nome della famiglia. Questa fattispecie normativa è stata abrogata nel nostro Paese poco meno di quarant'anni fa, con la Legge 442 del 5 agosto del 1981. La giornalista ha dichiarato:
"Da quando è stata abolita la legge sul delitto d'onore, alla fine i maschi si sono ripresi questa prassi, con la complicità della società e della magistratura. Ormai fanno molta più audience le molestie degli omicidi. Andrebbero presi provvedimenti più severi, io sono contraria alla pena di morte ma non bisogna essere indulgenti nei confronti degli assassini. Perché essere indulgenti verso un omicida vuol dire essere complici".
E prosegue:
"Nell'omicidio di Giulia si assiste proprio a una perfida particolare. E' la dinamica del 'ti voglio rovinare la vita quando stai per raccogliere i frutti del tuo lavoro'. Lui era frustrato. Io sono nata nel 1943, ho vissuto in un'Italia in cui le donne erano cose. Gli uomini avevano una supremazia indiscutibile. Per passare da questo, culturalmente, alla libertà delle donne, ci vuole molto tempo, lavoro e pene particolari, memorabili, perché qui siamo tornati ad uccidere per categoria".
Barbara Alberti poi conclude il suo intervento insistendo sul fatto che oggi il fenomeno del femminicidio sia un male di stato. "Un delitto di Stato". La scrittrice insiste sul fatto che le istituzioni siano complici di vicende di questo tipo, quando non assicurano il corretto svolgimento della giustizia e quando non viene disposta una giusta pena per il delitto. E con l'ultima battuta, emerge la rassegnazione su una prassi che in Italia sembra essere a tutti gli effetti dura a morire:
"E' una cultura (quella del femminicidio, ndr.) su cui non riusciamo ancora a mettere la parola fine e lo vediamo tutti i giorni, ancora oggi, all'interno delle aule dei tribunali italiani".