"Chi non ha peccato, scagli la prima pietra", ma di "pietre" ne sono state scagliate fin troppe contro il personale sanitario. Medici e infermieri si sono misteriosamente trasformati da "eroi" a vittime, aggrediti delle stesse persone a cui salvano la vita tutti i giorni. Anzi, chi sa se fra questi carnefici ci siano veramente alcuni di quelli che, a malapena, due anni fa si riempivano la bocca con gli appellativi più lusinghieri.
"Angeli" dicevano. E poi colpiscono con calci e pugni, aggrediscono verbalmente, lanciano sedie o addirittura, devastano reparti e pronto soccorso. O, come è successo a Foggia, assediano il personale, costringendolo a nascondersi e rinchiudersi in stanze barricate con qualsiasi cosa a portata di mano per sfuggire a quella violenza.
Poi, però, non si capisce o ci si chiede perché i medici e gli infermieri sono in fuga dal nostro Paese o perché vadano in burnout. Se sui media il quadro appare frammentato, con spazio dedicato solo i casi più eclatanti, illuminante e quantomai desolante, invece, quello dipinto dal Segretario Nazionale del Nursind, Andrea Bottega, intervistato da Tag24.
Il Sistema Sanitario Nazionale è in crisi. In effetti, lo è da molti anni, ma, se prima la questione riguardava per lo più la carenza di personale in alcune strutture, reparti o aree geografiche del Bel Paese, o i tagli ai fondi, adesso si è imposto con violenza un altro problema.
Parliamo delle aggressioni al personale sanitario. Attacchi non solo verbali, ma anche fisici a medici e infermieri inermi. Ne parla a Tag24 il Segretario Nazionale del Nursind, principale sindacato italiano degli infermieri con oltre 53mila iscritti, Andrea Bottega.
Il sindacato, insieme ad altre sigle, rappresentanti di Ministeri, Ordini e Regioni, è parte attiva dell'Osservatorio istituito al Ministero della Salute, che analizza e monitora dal 2020 tutto il comparto sanitario, raccogliendo anche i dati sulle violenze al personale medico. Sulla base delle informazioni raccolte, Bottega spiega:
"Questo fenomeno è aumentato notevolmente negli anni, soprattutto dopo il Covid. Ovviamente i dati si riferiscono all'anno scorso (2023) i report sono stilati ogni fine anno, ma ci mostrano una crescita rispetto al 2022. Basti pensare che nel Lazio c'è stato un aumento del 45% nel 2023 rispetto all'anno prima. Significa più di 16mila aggressioni a livello nazionale - anche se manca il dato della Sicilia. Le violenze in totale a carico degli operatori sono oltre 18mila, perché, ovviamente, un'aggressione può avvenire a carico di più operatori".
Purtroppo, qualcuno confonde medici e infermieri con qualche entità onnipotente e attribuisce loro la responsabilità o la colpa per qualsiasi svolta storta. Ovviamente bisogna fare una importante differenza: perdere un proprio caro è una tragedia, un dolore incolmabile, ma che non sempre può imputarsi a un errore umano. Un altro, è, certamente, un lutto dovuto a una diagnosi sbagliata provocata da negligenza o superficialità, per le quali, però, deve intervenire la Giustizia.
Così, come una diga che rompe gli argini, l'ondata di attacchi al personale, come quello, terribile, all'ospedale di Foggia, e il danneggiamento dei reparti dilaga in tutto il Bel Paese. Ma perché il fenomeno sta crescendo? Cosa è cambiato rispetto al periodo pre-pandemia? A rispondere Bottega, che spiega:
"Il perché questo fenomeno sia in aumento ha molte spiegazioni. A cominciare dalla sensibilità nei confronti dei bisogni di salute, che è molto aumentata nella popolazione. Sappiamo della difficoltà del territorio nell'evadere questi bisogni, da cui discende inevitabilmente il ricorso eccessivo alle strutture ospedaliere e in particolare ai pronto soccorso".
"Proprio il pronto soccorso" - continua il segretario - "Secondo i dati dell'Osservatorio è una delle unità operative dove avvengono il maggior numero di aggressioni. Seguito, poi, da Psichiatria e di degenza. Questo per quanto riguarda gli ospedali". Ma a essere colpite sono anche le altre strutture del territorio, come continua Bottega:
"Nel territorio, il servizio che è più coinvolto è quello psichiatrico territoriale insieme alle REMS e alle Case Circondariali. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che le aggressioni avvengono più nel servizio pubblico che nel privato. In parte, anche per via del fatto che, per anni, abbiamo assistito a una denigrazione del lavoro pubblico pure da parte delle Istituzioni. Come non ricordare a tal proposito, la narrazione sui dipendenti pubblici fannulloni, nullafacenti".
In una situazione così complessa, ovviamente, non è semplice distinguere fra chi ha totalmente ragione e chi ha sbagliato. Piuttosto, si dovrebbe parlare di zona grigia, in cui si mescolano una serie di fattori connessi e interconnessi a problematiche sovrastrutturali dell'Italia.
Tuttavia, a farne le spese in prima persona sono, appunto, i medici e gli infermieri aggrediti per qualsivoglia motivo, durante l'esecuzione del proprio lavoro. Afferma Bottega:
"Il fenomeno delle violenze colpisce principalmente la professione di infermiere con il 57% dei casi. Questo è anche comprensibile perché è l'infermiere la prima interfaccia con l'utenza. Soprattutto in ambito ospedaliero: al pronto soccorso si entra nel triage e si trova un infermiere. La categoria è composta per la stragrande maggioranza da personale femminile, perciò, le aggressioni, circa il 65%, sono a carico delle donne.
Comprendere il profilo di chi commette violenza, poi, non è facile. Dipende dal contesto. Per esempio, nell'ambito della Psichiatria a compiere le aggressioni sono principalmente gli utenti, mentre in pronto soccorso sono per lo più i parenti. Le aggressioni in ambito psichiatrico, inoltre, possono essere legate allo stato di agitazione del paziente o all'assunzione di sostanze stupefacenti o alcoliche. In pronto soccorso, invece, da un'osservazione empirica, possiamo concludere che in genere non è chi sta male ad avere reazioni scomposte, ma appunto, come detto, i familiari e si arriva così, citando i dati ufficiali, a una media del 70% di aggressioni da parte degli utenti, contro il 26% da parte dei familiari".
A questi numeri, inoltre, bisogna aggiungere anche i danni alla struttura ospedaliera e alle apparecchiature. Ma si deve tenere a mente che tante aggressioni non vengono denunciate oppure che non sempre si traducono in violenze fisiche. Diversi casi, infatti, riguardano attacchi di carattere verbale.
"L'essere aggredito come professionista produce dei sintomi depressivi, aumenta il burnout da stress e questo incide tra l'altro non poco sull'attrattività di professioni come quella degli infermieri", spiega il Segretario Nazionale, che mette in luce uno dei motivi che spingono il nostro personale a fuggire dall'Italia.
Anche se, il fenomeno delle aggressioni non è esclusivo del nostro Paese, da noi, medici e infermieri cominciano a nutrire seri dubbi sul proseguimento della loro carriera "in regime di dipendenza pubblica, mentre accarezzano sempre più l'idea di poter andare a lavorare in una situazione un po' più tranquilla, come il privato" continua Bottega:
"Tenga conto - argomenta il segretaro - che l'ospedale deve sempre dare una risposta a tutte le emergenze, anche sopperendo alle carenze del territorio. Il personale è sovraccaricato, quindi, un medico o un'infermiere del pronto soccorso anziché vedere 10 malati ne deve vedere 30 e non riesce a dedicare loro il giusto tempo. Molte situazioni, poi, si potrebbero risolvere anche con una comunicazione migliore. Il problema è avere tempo a disposizione per comunicare e relazionarsi con i pazienti. Il carico di lavoro attuale degli ospedali, purtroppo, non lo permette".
Questo permette al settore privato di trovare terreno fertile e poter proliferare. Infatti, sempre più spesso i cittadini, scontenti delle infinite liste d'attesa o costretti a esami specifici, decidono di ricorrere a strutture sanitarie private, oltre che costose.
Curare il Sistema Sanitario Nazionale, quindi, rappresenta un passo fondamentale per poter rispondere in maniera adeguata ai bisogni dei cittadini.
"Noi chiediamo non solo di agire sui sintomi e individuare deterrenti, ma di agire direttamente sulle cause, così da poter prevenire e evitare le condizioni per cui le persone vanno in escandescenza. Se siamo da soli o in due persone con uno scalmanato è più facile che ci facciano del male. Magari non succede se siamo in tre o quattro. Se in un ambulatorio ci sono 50 persone fuori e siamo in due è diverso che avere 5 persone fuori e dentro più personale".
Ecco quindi che Nursind ha avanzato alcune richieste:
"Abbiamo fatto un incontro recente con il Ministro (Schillaci ndr.) dopo i fatti di Foggia. Bene la parte di deterrenza e, quindi, l'inasprimento delle pene previsto dalla Legge 113 del 2020. E bene anche l'ultima ipotesi adesso allo studio dell'arresto in flagranza anche differita. La presenza di presidi di polizia nelle strutture sanitarie, lì dove ci sono, hanno prodotto qualche effetto: nel Lazio, ad esempio, quest'anno le aggressioni sono notevolmente diminuite. Tuttavia, come sosteniamo da sempre, si tratta comunque di iniziative che non affrontano le cause del problema.
E queste sono legate al finanziamento dei servizi e alle assunzioni di personale. Il Servizio Sanitario pubblico è stato depauperato per anni di risorse, a cominciare, appunto, dalle risorse umane. Adesso, quindi, non è più in grado di dare quelle risposte che i cittadin si aspettano. Risposte di qualità e in tempi adeguati".
C'è un altro aspetto ancora da indafare e riguarda la geografia delle aggressioni. Ebbene, da Nord e Sud. Secondo i dati dell'Osservatorio, il fenomeno interessa tutto il Paese, anche se come osserva Bottega, rimane "difficile da inquadrare, perché non tutti segnalano. Non tutte le regioni raccolgono i dati o hanno un sistema di raccolta dati adeguato".
Tra l'altro, "non sappiamo tutte quelle che sono le aggressioni, magari, anche verbali, segnalate. Comunque, i dati che abbiamo ci dicono che nelle regioni del Nord gli episodi sono elevati. Parlo del Veneto, della Lombardia, ma anche del Piemonte. Tutti territori, guarda caso, in cui la carenza di personale si fa sentire più che al Sud. Ed ecco che il cerchio inevitabilmente si chiude: il nodo da sciogliere, come non mi stancherò mai di ripetere, è il rafforzamento dell'organico".