Tra le varie forme di violenza che vanno a incidere gravemente sulla vita delle donne, ne esiste una che agisce "silenziosamente", quella economica, specialmente nei Paesi più poveri. Fondazione Pangea Onlus da anni lotta in prima linea per promuovere l'empowerment femminile in luoghi come l'India, il Pakistan e l'Afghanistan, oltre che al contrasto della violenza di genere con una rete di sportelli antiviolenza, anche in Italia, dove in particolare le donne musulmane fanno fatica nell'integrazione e restano prigioniere delle loro famiglie.
Tag24 ha intervistato la vicepresidente di Pangea, Simona Lanzoni, per capire a che punto siamo con i diritti delle donne in India e in Pakistan, con un focus particolare proprio sull'empowerment femminile. Un problema molto grave ancora oggi è quello delle spose bambine, una prassi che mette in ginocchio la libertà e la possibilità di autodeterminarsi della popolazione femminile, fin dalla tenera età. Oltre a parlare di questo fenomeno, Tag24 ha rivolto lo sguardo anche alla situazione in Italia.
Con la vicepresidente di Pangea, Simona Lanzi, Tag24 ha commentato una tendenza a cui di recente si assiste spesso nei quartieri della periferia di Roma e che ha a che fare con l'integrazione fallita delle donne musulmane in Italia.
Alcune di loro portano il velo e per coprirsi ulteriormente il volto, indossano anche le mascherine obbligatorie al tempo della pandemia. Il risultato finale del mix di indumenti sembra essere un niqab. E' un’usanza che sembra passare inosservata e che ora si riflette, sempre più di frequente, anche nelle bambine.
Nell’Islam l’obbligo di indossare il velo non rientra tra i dettami espressamente previsti dal Corano, anche se in alcune parti del mondo, come ad esempio in Iran, il mancato utilizzo dell'hijab ha conseguenze gravissime, fino alla pena di morte.
Perché alcune aree della politica italiana, le istituzioni restano in silenzio davanti a donne e bambine con indosso il velo e la mascherina? Secondo la vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus questo avviene perché:
Non lavorano sull'integrazione. A loro non interessa questa condizione. Le donne migranti spesso non sono integrate, non sono autonome e non conoscono nemmeno i diritti che ci sono qui in Italia. Bisognerebbe fare un lavoro capillare sull'integrazione, perché queste donne rimangono in qualche modo escluse dalla realtà sociale, anche dai corsi d'italiano e tutto il resto.
Sono figure recluse nella loro piccola comunità o addirittura in famiglia. Penso che sia fondamentale avviare percorsi rivolti all'integrazione interculturale. Dovrebbe essere parte del piano d'azione nazionale contro la violenza.
L'India è il paese più popolato del mondo, mentre il Pakistan è al quinto posto. Questi sono dati importanti per partire nell’analisi della situazione in cui molte donne si trovano a vivere lì. Spesso non sanno di essere vittime di violenza e nemmeno conoscono quali sono i loro diritti.
La vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus, Simona Lanzoni, ha raccontato a Tag24 che tali difficoltà emergono soprattutto:
Quando si lavora con donne estremamente povere, che è il target a cui principalmente si rivolge Pangea. Per arrivare a loro e far emergere la violenza di cui sono spesso vittime, quello che si fa è lavorare sull'empowerment economico e sociale. Sono punti fondamentali nel percorso di fuori uscita dagli abusi. Non si può fare una cosa senza l'altra perché è essenziale arrivare a una maggiore consapevolezza di quali sono i propri diritti.
Fondazione Pangea Onlus si impegna nel miglioramento delle condizioni di vita delle donne in India e Pakistan, oltre che in Afghanistan, dove la situazione è estremamente diversa per via della presenza del regime dei talebani.
"Noi di Pangea crediamo che solo attraverso un percorso di acquisizione di consapevolezza di quello che si è, delle proprie potenzialità e del raggiungimento dell’autonomia economica, le donne possano ottenere l’autodeterminazione rispetto alla famiglia e alle comunità in cui vivono".
Spose bambine: un’accoppiata di termini che fa rabbrividire al solo pensiero. E’ una prassi ancora in uso in diversi Paesi del mondo, soprattutto in India. Lasciando da parte i discorsi che riguardano la religione o la cultura, di sovente questi episodi sono trovate dei genitori che hanno lo scopo di garantire loro un futuro alle loro figlie, in particolare una stabilità e sicurezza a livello economico.
Simona Lanzoni ha raccontato a Tag24 che Fondazione Pangea Onlus è impegnata al contrasto di questo fenomeno soprattutto nella città di Varanasi:
Oggi lavoriamo con le donne, con le madri, per migliorare la condizione di vita dell'intero nucleo familiare. Questo vuol dire evitare spose e bambine, perché si porta avanti un’operazione di tipo culturale, con le mamme e le piccole.
Cerchiamo di coinvolgere le giovani nelle varie attività dei percorsi di gruppo di mutuo aiuto. Le bimbe ascoltano le madri, che a loro volta crescono dal punto di vista della consapevolezza dei propri diritti e di quelli delle loro figlie, migliorando anche la loro condizione economica. In automatico così puntiamo a far diminuire il fenomeno delle spose bambine. È chiaro che ci vuole del tempo, però noi lavoriamo su questo aspetto da anni. I processi di empowerment sono lunghi. Si tratta di cambiamenti che vanno da madre in figlia.
Spesso le questioni culturali sono travisate anche da problemi di povertà. A volte i genitori pensano di dare un'occasione alle figlie, invece stanno creando una limitazione totale alla loro libertà e al loro sviluppo. Per tale motivo è essenziale garantire alle giovani il diritto allo studio, che non a caso è stato colpito con ferocia dai talebani in Afghanistan, togliendo alle donne la possibilità di accedere all’istruzione.
Il 10 ottobre 2024 si è tenuta un'audizione alla Camera dei Deputati a Roma, dove donne indiane e pakistane esperte in tema di empowerment economico di vittime di violenza, insieme ai rappresentanti di Fondazione Pangea Onlus, hanno spiegato come attraverso la crescita economica e sociale si porti avanti un lavoro che rende le figure femminili autonome ma anche consapevoli e forti, nell'uscita dalla violenza.
Un altro elemento sottolineato nell’incontro, secondo quanto raccontato dalla vicepresidente di Pangea, è stato:
"L'importanza di costruire e mantenere attiva una rete tra le donne, che con spirito di solidarietà, soprattutto nei Paesi più poveri del mondo, si proteggono tra loro. Un aspetto fondamentale per dare vita a percorsi di antiviolenza in luoghi estremamente difficili".
Poi il focus si è spostato sull’Italia, dove deve essere incrementato l’impegno per creare dei punti che permettano la comprensione culturale dei vissuti di violenza delle donne migranti che vivono nel nostro Paese:
"C'è bisogno di fare di più, di lavorare dal punto di vista dell'intersezionalità. Noi di Pangea siamo attivi in Italia con gli sportelli antiviolenza della rete REAMA in Italia, aperti cinque giorni a settimana, dove ogni donna può chiamare per avere supporto e consulto. Offriamo un supporto legale gratuito.
Poi c'è un altro sportello dedicato ai bisogni di base delle donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo. Possono venire qui a Pangea, telefonare o tramite il supporto online, rispondiamo alle loro necessità, sia dal punto di vista delle consulenze legali che quello dei consulti sociosanitari e dei percorsi educativi. Spesso da un caso di violenza, passando per lo sportello antiviolenza, c’è anche la necessità di trovare un lavoro.
Proprio per questo motivo abbiamo previsto lo sportello sulla Politica attiva del Lavoro, una realtà che agisce in rete con i servizi territoriali sia su Roma che a livello nazionale con le imprese, per trovare delle soluzioni di impiego o anche di formative per le donne".