16 Jan, 2025 - 12:22

Tregua Israele-Hamas: i dettagli dell'accordo e le sfide ancora da superare

Tregua Israele-Hamas: i dettagli dell'accordo e le sfide ancora da superare

Israele e Hamas hanno raggiunto, il 15 gennaio, un accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. I mediatori hanno annunciato l'intesa che dovrebbe porre fine ai distruttivi combattimenti in corso da oltre 15 mesi. Dopo numerosi tentativi di negoziazione e profondi disaccordi tra le parti, la notizia è stata accolta con favore da diversi governi.

L'accordo, articolato in tre fasi, prevede, oltre alla cessazione delle ostilità, anche il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas e dei prigionieri palestinesi trattenuti in Israele, nonché il ritorno dei palestinesi sfollati a Gaza. Restano tuttavia aperte numerose questioni delicate, tra cui la stabilità della tregua.

I punti chiave dell'accordo di cessate il fuoco a Gaza

L'accordo di tregua annunciato il 15 gennaio rappresenta la prima cessazione delle ostilità dalla tregua di novembre 2023, inizialmente prevista per sette giorni e prorogata due volte. Dopo quella data, gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Egitto e Qatar sono stati bloccati per mesi a causa delle accuse reciproche tra Israele e Hamas, che hanno rallentato i negoziati.

Le intense negoziazioni per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza si sono concluse il 15 gennaio con un accordo dopo oltre un anno di conflitto. Il bilancio delle vittime ha superato le 46.700 persone. Il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, ha annunciato che l’accordo entrerà in vigore domenica 19 gennaio, dopo l’implementazione di alcune misure interne da parte di Israele. Al-Thani ha anche confermato che sarà istituito al Cairo un meccanismo per monitorare i progressi e le eventuali violazioni.

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha illustrato la struttura dell’accordo, che si articola in tre fasi. La prima prevede un cessate il fuoco di 42 giorni con la sospensione totale delle ostilità. Le forze israeliane si ritireranno da tutte le aree popolate di Gaza, permettendo ai palestinesi di rientrare nelle loro case. Secondo le Nazioni Unite, circa il 90 per cento dei 2,3 milioni di abitanti della Striscia è stato sfollato, alcuni più volte. Durante questa fase, Hamas libererà 33 ostaggi, tra cui donne, anziani, feriti e persone con più di 50 anni. Israele, in cambio, rilascerà centinaia di prigionieri palestinesi.

La seconda fase prevede il rilascio di altri ostaggi, compresi i soldati maschi. In questo periodo, il cessate il fuoco diventerà permanente, e le truppe israeliane rimaste si ritireranno completamente da Gaza. I dettagli della fase successiva saranno definiti nel corso dei negoziati.

Nella terza e ultima fase verranno restituite le salme degli ostaggi deceduti e sarà avviato un piano di ricostruzione dell’enclave palestinese.

Le questioni irrisolte 

Le sfide restano complesse sul fronte logistico. Sebbene l'accordo sblocchi il flusso di aiuti, come annunciato dagli Stati Uniti, garantire la consegna effettiva di tali aiuti agli abitanti della Striscia di Gaza sarà un compito arduo. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha dichiarato che gli Stati Uniti mirano a far arrivare oltre 500 camion di aiuti al giorno.

Permane anche la questione critica della ricostruzione. Stime recenti indicano che circa il 92 per cento delle unità abitative è stato distrutto, il 68 per cento della rete stradale necessita di interventi, e l'88 per cento delle infrastrutture scolastiche richiede riparazioni o ristrutturazioni.

Non è ancora chiaro chi finanzierà la ricostruzione e con quali risorse, né chi governerà Gaza una volta stabilizzata la situazione. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha avanzato una proposta che prevede l'unificazione della Cisgiordania e di Gaza sotto l'amministrazione dell'Autorità Nazionale Palestinese, ma il futuro politico del territorio resta incerto. Le decisioni cruciali su questi temi saranno probabilmente affrontate dopo l'insediamento di Donald Trump.

Il ruolo dei mediatori internazionali nel raggiungere la tregua

Molti attribuiscono il successo delle recenti negoziazioni alle pressioni esercitate dai membri della futura amministrazione Trump e all’indebolimento di Hamas. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ringraziato il presidente eletto Donald Trump per aver contribuito a "porre fine alle sofferenze di decine di ostaggi e delle loro famiglie". Netanyahu ha inoltre ringraziato il presidente uscente Joe Biden per il suo ruolo nel processo. Biden aveva fissato come uno degli ultimi obiettivi di politica estera il raggiungimento di un accordo di tregua prima della fine del suo mandato, il 20 gennaio.

Durante una conferenza stampa, Biden ha ricordato di aver "tracciato i contorni precisi di questo piano il 31 maggio 2024", successivamente approvato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, senza riconoscere il contributo di Trump. Biden ha attribuito la riuscita dell’accordo alla "pressione estrema" esercitata su Hamas, ai cambiamenti nella "situazione regionale" e all’"indebolimento dell’Iran".

Trump, al contrario, ha rivendicato il merito del successo, affermando che l’intesa sarebbe stata impossibile senza la sua vittoria elettorale.

Il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, ha attribuito il risultato a uno sforzo congiunto, riconoscendo il contributo sia dell’amministrazione uscente sia di quella entrante nel garantire la tregua.

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Nazlican Cebeci
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