Oggi, domenica 19 gennaio 2025, ricorre il venticinquesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Il leader socialista della Prima Repubblica morì nel 2000 a 65 anni ad Hammamet, in Tunisia, perché in Italia era oggetto di due ordini di cattura conseguenti ad altrettante condanne inflittegli nell'ambito delle inchieste di Mani Pulite che lo avrebbero portato in carcere per un totale di dieci anni.
Craxi trascorse ad Hammamet gli ultimi sei anni della sua vita. Per la maggior parte dell'opinione pubblica dell'epoca, da latitante. Quando lasciò definitivamente l'Italia con un volo da Ciampino il 5 maggio 1994, la procura di Milano, con le sue inchieste sulle tangenti e sul finanziamento illecito dei partiti, aveva ancora molti sostenitori anche nella classe politica.
Il "cinghialone", come fu definito, divenne, quindi, una preda. E visse gli ultimi anni isolato e da capro espiatorio.
Sta di fatto che, un quarto di secolo dopo, la storia sembra proprio averlo riabilitato. Più passa il tempo e più Craxi sembra essere stato costretto a un esilio forzato davanti all'avanzata di una magistratura che sollevava un problema comune a tutta la classe politica dell'epoca.
Questo dato di fatto lo si può notare anche entrando in una libreria in questi giorni: sono almeno cinque le pubblicazioni che gli sono state dedicate. E tutte contengono di lui un giudizio positivo. Compreso quello di Andrea Spiri, docente presso la Luiss e già membro del comitato storico-scientifico della Fondazione Craxi. Lui ha curato il volume "Bettino Craxi, lettere di fine Repubblica" per i tipi di Baldini+Castoldi, in cui ricostruisce l'ultimo decennio della Prima Repubblica tramite le lettere che il leader socialista riceveva e spediva, prima da Roma, poi da Hammamet.
I tempi di Palazzo Chigi e di Sigonella erano già lontani. Ma a scrivere a Craxi, anche nei suoi ultimi anni, furono esponenti di governo, uomini di partito, intellettuali, magistrati (compreso Antonio Di Pietro) e giornalisti:
si legge nella quarta di copertina di Spiri. Il quale, tra le altre, mette in evidenza anche le missive a Craxi di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e Marco Pannella.
Quest'ultimo, una volta, gli scrisse che era un "cogl..ne". Ma, a venticinque anni dalla scomparsa di Craxi, anche quella lettera suona come di un'altra categoria rispetto agli insulti gratuiti che volano nel teatrino della politica di oggi. Anche perché si trattava di un epiteto usato in senso ironico.
Per capire la lettera che il 19 giugno 1992 Pannella spedì a Craxi (quando era ancora un uomo di potere, alla guida del Psi in Italia, quindi) bisogna contestualizzarla. Prima di tutto dicendo che i due erano molto amici: si conobbero a metà anni Cinquanta da ragazzi, mentre cominciavano a fare politica nei loro ambienti universitari. Ma, a cementarne il legame, fu la comune militanza nell'Unione goliardica italiana, l'organizzazione degli studenti laici. Nel corso degli anni, fu così quasi conseguenziale che si trovassero dalla stessa parte sui diritti civili, sull'anticomunismo, sul rapporto fra Stato e cittadini. Tuttavia, due caratteri come i loro non potevano non vivere momenti anche burrascosi.
E uno di questi si presentò nel 1992, quando l'allora Pds rivendicò per Giorgio Napolitano il ruolo di presidente della Camera. E Craxi avallò l'operazione pur sapendo dell'indisponibilità del Pds a sostenere un altro esecutivo a sua guida.
Quindi, Marco Pannella prese carta e penna e gli mandò una lettera composta da una sola, lunghissima frase che qui riportiamo facendo a meno di altre subordinate:
Spiri, che di Craxi si è occupato anche in un altro volume edito da Baldini+Castoldi ("L'ultimo Craxi, diari da Hammamet"), riporta per intero la missiva di Pannella. Con quelle degli altri protagonisti di quella stagione, è tanto più significativa leggerla adesso, col senno del poi, perché precedette di soli dieci mesi il linciaggio che il leader del Psi subì il 30 aprile 1993 davanti al suo quartier generale, l'hotel Raphael, dietro piazza Navona, dopo che la Camera respinse quattro delle sei autorizzazioni a procedere nei suoi confronti.
La giornalista che al microfono dice "Lanciano tutto, stanno tirando di tutto!" è Valeria Coiante, lavorava per Mixer di Giovanni Minoli. E, in un libro del 2021 di Filippo Facci ("30 aprile 1993 - Bettino Craxi, l'ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica", Marsilio editore), si ricorda che solo grazie a lei, a un operatore di Mediaset e a un fotografo arrampicatosi sul tetto di un ristorante, oggi abbiamo le immagini che testimoniano un momento chiave della nostra storia.
Ma tant'è: il tempo cambia parecchie cose. Ad Hammamet, per la prima volta, Craxi è stato omaggiato dalla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, e dal vicepremier Antonio Tajani. Il primo di provenienza Msi, un partito che, come gli ex Pci, si schierò senza se e senza ma con i magistrati di Milano facendogli la guerra fino alla fine.
E in libreria, dicevamo, ci sono solo libri che ne riabilitano l'azione politica: oltre a quello di Spiri, c'è quello della figlia, Stefania Craxi ("All'ombra della storia, la mia vita tra politica e affetti"); quello di Fabio Martini ("Controvento, la vera storia di Bettino Craxi"); di Aldo Cazzullo ("Craxi, l'ultimo vero politico") e di Massimo Franco ("Il fantasma di Hammamet, perché l'ombra di Bettino Craxi incombe ancora sull'Italia"). Chissà cosa ne direbbe Pannella.