Nel Partito Democratico cresce la frustrazione. Dietro le quinte, si respira un’atmosfera di incertezze e malcontento. La pazienza di chi aveva riposto le proprie speranze nel rinnovamento con Elly Schlein alla guida sembra essere arrivata al termine. Se, inizialmente, in molti avevano visto nella sua ascesa una possibilità di rilancio, ora la sensazione che serpeggia nel partito è che, con lei, non si possa vincere.
Il vero problema, infatti, risiede nella mancanza di una figura capace di fungere da collante, come invece è accaduto con Giorgia Meloni per la destra-centro. La presidente del Consiglio ha saputo incarnare un’identità unitaria per il centrodestra, attrarre consenso e consolidare una coalizione che, oggi, si presenta solida e ben coesa. Nel PD, però, manca una leadership altrettanto forte, unitaria, capace di unificare le diverse anime del partito e di creare quel senso di appartenenza necessario a fronteggiare la crescente egemonia della destra.
In questo clima di incertezze, la caccia al "federatore" è ormai diventata una vera e propria corsa contro il tempo. I nomi che circolano sono tanti e sembrano riflettere il desiderio di trovare una figura che sappia ridare slancio al partito. Tra i più gettonati ci sono Paolo Gentiloni, che continua a godere di un buon seguito a livello internazionale, il sindaco di Bari Antonio Decaro, il sindaco di Firenze Dario Nardella, il presidente della Provincia di Bergamo Giorgio Gori e Ruffini, ex numero uno del fisco. Ogni nome porta con sé caratteristiche e potenzialità diverse, ma la questione che divide, in realtà, è chi tra questi potrebbe davvero riuscire a “federare” e rappresentare l’unità di cui il PD ha disperatamente bisogno.