Più volte è stato definito il "testimone chiave" del processo relativo all'omicidio della sorella Saman Abbas, avvenuto a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, nella primavera del 2021. Le dichiarazioni di Alì Haider, oggi 20enne, saranno fondamentali per ricostruire l'accaduto e fare luce sulle responsabilità dei familiari della 18enne imputati: il padre Shabbar, la madre Nazia, lo zio Danish, e i due cugini (finora assolti), Ikram e Nomanhulaq che, a differenza degli altri, sono a piede libero.
Ieri, 6 marzo 2025, il ragazzo è stato ascoltato dai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Bologna. E, tra un "non ricordo" e l'altro, a voce bassissima e coperto da un paravento per evitare di incrociare lo sguardo dei familiari imputati, ha confermato le accuse già mosse nei loro confronti.
ha dichiarato, ripercorrendo gli ultimi istanti di vita di Saman e collocando, sulla scena del crimine, non solo i genitori, che, come si legge nella sentenza di primo grado, "accompagnarono la sorella a morire", ma anche i cugini assolti.
Secondo la sua versione, quella sera, dopo l'omicidio, il padre Shabbar tornò a casa con lo zaino della sorella e, insieme alla madre, preparò le valigie per il Pakistan. Dalle indagini è emerso che, nei giorni precedenti, entrambi avevano acquistato dei biglietti di sola andata per il Paese d'origine.
Una circostanza che, unita al fatto che la fossa in cui Saman fu ritrovata era profondissima e, secondo gli esperti, scavata in almeno due momenti diversi, ha portato la Procura a contestare loro la premeditazione (che la difesa, invece, rigetta).
Il servizio di Riccardo Porcù per il Tg3 - 6 marzo 2025.
Haider ha raccontato anche cosa successe prima dell'omicidio: lui che mostrò al padre le chat in cui Saman e l'allora fidanzato, Saqib Ayub, parlavano di un rapporto sessuale già consumato; la madre che cercò di convincere la sorella a non andarsene, come lei avrebbe voluto fare, per ricominciare.
Nelle motivazioni con cui hanno condannato i genitori all'ergastolo e lo zio Danish, presunto esecutore materiale del delitto (fu lui a far ritrovare il corpo della giovane, un anno e mezzo dopo), a 14 anni, i giudici scrivono che la uccisero per la sua ricerca di autonomia e indipendenza.
Ora Haider ha un ruolo importantissimo. Dalle sue dichiarazioni - oltre che da quelle della madre Nazia, per la prima volta in aula dopo l'estradizione - potrebbe dipendere, infatti, l'esito del processo. In primo grado, non era stato giudicato "attendibile".
Ciò nonostante il Tribunale per i Minori avesse garantito, in una nota inviata alla Corte d'Assise di Reggio Emilia, che il giovane non fosse indagato o indagabile, essendo estraneo al delitto, come si vede chiaramente nel filmato di una telecamera di videosorveglianza di quella sera.
Haider, che all'epoca aveva 16 anni, rimase sulla porta e non seguì i familiari nelle serre dietro l'abitazione. "Non chiese ai genitori cosa stava succedendo?", gli ha chiesto ieri il pg in aula. Al che lui ha risposto: "Ho sempre avuto paura". Il suo avvocato, Angelo Russo, ha parlato di una "faticosa testimonianza".
Il ragazzo, ha detto, "sta cercando di dare il suo contributo". Nel processo, come il fidanzato di Saman, assistito dall'avvocata Barbara Iannuccelli, si è costituito parte civile. La loro speranza è che venga fatta giustizia per la giovane, morta a 18 anni solo per aver cercato di vivere la sua vita.