08 Mar, 2025 - 09:52

Il rapimento e l'omicidio del piccolo Tommaso Onofri a Parma: una tragedia che l'Italia non dimentica

Il rapimento e l'omicidio del piccolo Tommaso Onofri a Parma: una tragedia che l'Italia non dimentica

Le immagini dei suoi grandi occhi azzurri, del suo sguardo da angioletto hanno riempito per anni le pagine dei quotidiani, entrando nelle case di praticamente tutti gli italiani. Parliamo di Tommaso Onofri, il piccolo di soli 17 mesi che, nel marzo 2006, fu rapito dalla sua casa di Casalbaroncolo, in provincia di Parma, a scopo di estorsione e che, purtroppo, fu ucciso. Una vicenda tragica, rimasta nel cuore e nella mente di molti. Per ripercorrerla, dobbiamo tornare indietro nel tempo.

L’inizio della storia di Tommaso Onofri: il rapimento da Casalbaroncolo

Siamo a Casalbaroncolo, nel Parmense, il 2 marzo 2006. Paolo Onofri, la moglie Paola Pellinghelli e i due figli, Sebastiano, di 7 anni, e Tommaso, di 17 mesi, sono seduti a tavola per la cena quando, improvvisamente, salta la corrente. 

Paolo si alza per raggiungere il contatore, mentre Paola, recuperando qualche candela, cerca di fare luce e di tranquillizzare i bambini. Quando l’uomo apre la porta d’ingresso, viene sorpreso da due persone incappucciate, che lo costringono a rientrare.

Una delle due gli punta un coltello alla gola; l’altra, raggiunta la tavola, tiene una pistola puntata alla nuca del piccolo Tommy. Paola, preoccupata, segue alla lettera le loro istruzioni, raccogliendo tutto il denaro presente in casa, circa 150 euro.

Poi, sia lei che il marito vengono fatti sdraiare sul pavimento e legati con del nastro adesivo. Quando i rapinatori se ne vanno e loro riescono a liberarsi, si accorgono che Tommaso non c’è più. Che i due malviventi lo hanno portato con loro. 

Il piccolo Tommy (foto di Ansa)

 

Le indagini e primi sospetti sul padre e sui muratori

L’allarme scatta subito. Dopo la chiamata ai carabinieri, i coniugi e Sebastiano vengono raggiunti da una pattuglia. Le ricerche di Tommy iniziano immediatamente. I genitori, intercettati dai giornalisti, lanciano degli appelli affinché il piccolo venga liberato, dando indicazioni ai rapitori su un farmaco da somministrargli per le sue crisi epilettiche.

Gli inquirenti avanzano l’ipotesi di un sequestro a scopo di estorsione. La famiglia Onofri, però, è tutt’altro che ricca. Paolo, 46 anni, è direttore di un ufficio postale. La moglie, di tre anni più giovane, lavora nei servizi postali, ma in quel periodo è in aspettativa non retribuita. La casa di Casalbaroncolo, dove vivono, è la loro unica proprietà: l’hanno acquistata anni addietro, grazie a un’eredità.

Da poco, l’hanno ristrutturata. Cosa può esserci, allora, dietro a questa storia? Chi indaga inizia a sospettare che Paolo Onofri possa saperne qualcosa e scava nel suo passato, nel suo rapporto con la moglie. In un mese, dalla Procura emettono centinaia di decreti di intercettazione nei suoi confronti, scoprendo che, pochi giorni dopo il rapimento, durante una telefonata con un certo Pasquale Barbara, aveva detto cose ambigue.

L’uomo, titolare della ditta che si era occupata dei lavori presso la sua abitazione, gli aveva chiesto se avesse fatto dei nomi, e lui gli aveva risposto: “Ho fatto nomi, ma non quei nomi”. Una dichiarazione che solleva interrogativi, insieme alla scoperta, di poco successiva, di un appartamento di sua proprietà (di cui anche la moglie era ignara) e di un computer contenente materiale pedopornografico. 

L’”incappucciato” e gli altri: cosa è successo davvero? 

Interrogato, Onofri spiega di aver raccolto i file per sporgere denuncia alla polizia postale, dopo aver svolto una serie di indagini private. Il suo avvocato riesce inoltre a dimostrare che si tratta di un pc vecchio e inutilizzato, “di anni giovanili”, e l’uomo se la cava (avrebbe patteggiato sei mesi). 

Viene intanto convocato in Questura per un confronto con un uomo fermato come presunto rapitore. I giornalisti lo soprannominano “l’incappucciato”. Poco dopo, si scopre che il suo vero nome è Mario Alessi e che, insieme al collega Salvatore Raimondi – entrambi sono dipendenti di Barbera – ha partecipato al rapimento.

Un mese dopo, messi alle strette, i due confessano il sequestro, rivelando anche che il piccolo Tommy è morto. Spiegano che è successo un’ora dopo la partenza da casa Onofri; che non l’avevano premeditato; anzi, avevano preso accordi con la compagna di Alessi, Antonella Conserva, affinché si occupasse del piccolo. 

Solo che il bimbo piangeva e loro erano spaventati. Quindi, alla fine, l’hanno ucciso. È Alessi a portare gli inquirenti sul luogo dell’occultamento (secondo le sentenze sarebbe stato lui a commettere l’omicidio, soffocando il piccolo per poi infierire sul suo corpicino). La madre di Tommy avrebbe raccontato che “era perfettamente integro, nonostante il passaggio di milioni di animali”.

“Non l’hanno toccato”, avrebbe detto, “hanno avuto rispetto di lui, cosa che non hanno avuto gli esseri umani”. Secondo i giudici, Alessi e Raimondi avrebbero orchestrato tutto per ottenere del denaro (convinti che, grazie al suo lavoro, Paolo avrebbe potuto averne accesso); uno dei due avrebbe dovuto lasciare sul tavolo una SIM per mettersi in contatto con la famiglia e chiedere un riscatto, ma se ne sarebbe dimenticato.

Le condanne dei responsabili

Dopo l’arresto, Alessi e Raimondi si incolpano a vicenda. Alla fine del processo a loro carico, il primo – considerato la “mente” – viene condannato all’ergastolo; Conserva a 24 anni. Raimondi, che a differenza loro aveva scelto il rito abbreviato, a 20 anni (dal 2024 è in regime di semilibertà).

La madre, il padre e il fratello del piccolo Tommy dopo la tragedia

Gli anni passano. Paola e Paolo, che nel frattempo hanno provato a far funzionare le cose, vanno avanti, per il bene del figlio rimasto. Il 12 agosto 2008, mentre tutti e tre sono in vacanza in Trentino, l’uomo accusa un infarto. Il 15 gennaio 2014, dopo anni di coma, muore. Restano Paola e Sebastiano. Tommaso avrebbe ormai avuto 20 anni. Purtroppo, la sua vita è stata spezzata troppo presto, in modo crudele e senza senso. Il suo visetto è ancora nel cuore di molti, in Italia. Difficilmente sarà dimenticato.

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Sara D'Aversa
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