17 Apr, 2025 - 11:38

Referendum sul Jobs Act, Renzi e Landini litigheranno in tv: il piano segreto della sinistra per il quorum

Referendum sul Jobs Act, Renzi e Landini litigheranno in tv: il piano segreto della sinistra per il quorum

L'allarme rosso è già scattato. Tra meno di due mesi, l'8 e 9 giugno, ci sarà l'appuntamento con le urne per il referendum abrogativo dell'attuale legge che regola il diritto alla cittadinanza e il Jobs Act. Ma raggiungere il quorum sembra già un miraggio ai promotori. Prova ne sia il fatto che, pur di portare questi temi al centro del dibattito pubblico, Matteo Renzi e Maurizio Landini stanno pensando di offrirsi al miglior canale televisivo per un duello davanti alle telecamere. Una litigata a tavolino, insomma.

Del resto, almeno per alleviare una sconfitta certa, la parola d'ordine nel centrosinistra è quella di fare più ammuina possibile. Per questo il leader di Italia Viva e il segretario della Cgil sono disposti ad andare per la prima volta a duello davanti alle telecamere.

Duello tv Renzi-Landini in vista del referendum sul Jobs Act

Sta di fatto che, a quel punto, sarebbe interessante notare quale posizione assumerebbe l'ex presidente del Consiglio. Il perché è presto detto: il Jobs Act è una legge che volle fortissimamente proprio Matteo Renzi quand'era presidente del Consiglio, nel 2014. Ed è stata una delle leggi che maggiormente ha caratterizzato il Pd, quand'era un partito riformista. Ora l'ex premier sarebbe pronto all'abiura? Oppure, nel confronto con Landini, difenderebbe con le unghie e con i denti quello che è suo?

In fondo, l'attuale leader di Italia Viva potrebbe gettare sul tavolo una carta niente male: quella del record di occupati che può vantare adesso l'Italia, figlio anche della sua legge.

Ma tant'è: nelle scorse settimane, in seguito alla sua scelta di legarsi nuovamente mani e piedi con il centrosinistra (pur se a trazione Schlein-Conte), ha aperto anche alla possibilità di andare oltre il Jobs Act, ragionando in questo modo: è stata una buona legge, ma ormai sono passati oltre dieci anni dalla sua entrata in vigore, quindi si potrebbe aprire un nuovo capitolo.

Certo: trattasi di uno dei contorsionismi più impressionanti dell'ultimo Renzi, assieme alla sua singolare (nel mondo liberal europeo) posizione anti-Ursula Von der Leyen. Posizione che, tra l'altro, ha comportato anche la critica con cui ha accolto il piano della presidente della Commissione per il riarmo europeo: 

virgolette
Ursula è un'algida burocrate, il suo piano è solo una sparata

ipse dixit lo scorso marzo.

E comunque: l'altroieri, sui social, è tornato sull'argomento Jobs Act dicendosi "orgoglioso" della sua legge

Ma allora: che senso ha andare in tv a litigare con Landini se non vuole che la si cancelli?

Perché Renzi e Landini andranno a litigare in tv?

Il senso politico della litigata in tv con Maurizio Landini l'ha colto sulle pagine di Domani la cronista Daniela Preziosi, la prima a dare la notizia che la Cgil, questa volta, è pronta a dire sì a un duello davanti alle telecamere con l'ex premier.

In pratica, il piano segreto sarebbe questo: Renzi, pur se contrario all'abrogazione del Jobs Act, si presterebbe al confronto televisivo con Landini per fare in ogni caso l'interesse del centrosinistra, senza il quale, dopo la rottura del Terzo polo, per lui, non si può fare politica.

L'ex premier darebbe un colpo alla botte e uno al cerchio perché difenderebbe la legge ma, allo stesso momento, con la lite studiata a tavolino con Landini, si metterebbe al riparo dalle critiche dei suoi alleati in quanto darebbe il suo contributo ad alzare l'attenzione mediatica sul referendum e quindi ad incrementare le possibilità di raggiungere, se non il quorum, almeno l'obiettivo minimo che, nelle stanze segrete, si è posto il centrosinistra: portare alle urne l'8 e il 9 giugno prossimi almeno 12 milioni di cittadini, cioè quanti hanno votato il centrodestra a trazione Meloni nel 2022.

Nei conciliaboli segreti che intercorrono tra Elly Schlein, Maurizio Landini, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Riccardo Magi, Giuseppe Conte e gli altri promotori del referendum (anche se il leader del Movimento Cinque Stelle è sostanzialmente contro a quello per una cittadinanza più facile) ci si pone proprio quest'obiettivo, considerato molto più realistico rispetto ai 24 milioni di votanti che occorrerebbero per convalidare con il 50% più uno degli aventi diritto una tornata referendaria che, come al solito, si presenta più come una resa dei conti politica che un vero e proprio mezzo concreto di partecipazione democratica.

E dire che nel 2016, quando Renzi era tutt'altro che disponibile a farsi concavo e convesso pur di sedere al tavolo di una coalizione, con la sua riforma costituzionale, aveva in mente anche di cambiare le regole per validare un referendum... 

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Giovanni Santaniello
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