Mettiamola così: quando Papa Francesco ha diramato la lista dei convocati dei cardinali che dovranno sostituirlo nelle celebrazioni di Pasqua, in molti hanno notato un'assenza importante, quella di Pietro Parolin, il Segretario di Stato Vaticano.
Come mai non toccherà a lui né celebrare la Via Crucis di stasera al Colosseo né la messa di Pasqua?
I più maliziosi hanno trovato la risposta leggendo l'intervista che il porporato ha concesso oggi a Iacopo Scaramuzzi di Repubblica.
Papa Francesco, a causa delle sue condizioni fisiche, ha delegato le celebrazioni della Pasqua sostanzialmente a tre cardinali. Nello specifico, la Santa Messa Crismale in San Pietro sarà celebrata dal cardinale Domenico Calcagno, presidente emerito dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA); la celebrazione della Passione sarà presieduta dal cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali; la Via Crucis al Colosseo sarà presieduta dal cardinale Baldassarre Reina, vicario generale per la Diocesi di Roma.
Dall'interno delle mura leonine, è trapelato anche il commento secondo il quale il Pontefice, per queste scelte, non si è certo preoccupato di prendere il bilancino politico in mano.
Sta di fatto che oggi, a prendersi la scena, è stato il grande escluso, il Segretario di Stato Pietro Parolin. Sebbene dispensato dalle maggiori celebrazioni del Triduo pasquale, Parolin ha un'agenda comunque importante: nelle prossime ore, incontrerà il vicepresidente Usa J. D. Vance, in missione a Roma. E per l'occasione ha rilasciato un'intervista a Repubblica con la quale anticipa i temi del confronto.
Ma il Segretario di Stato che funzioni ha? In pratica, il suo ruolo è paragonabile a quello del ministro degli Esteri di uno Stato. Per questo, quindi, le sue parole sulla situazione geopolitica internazionale sono destinate a pesare in maniera particolare. Tanto più alla presenza di Vance.
Pietro Parolin, nato 70 anni fa a Schiavon, in provincia di Vicenza, con lui dovrà far ricorso alle migliori doti diplomatiche perché storicamente Bergoglio non ha buoni rapporti con il mondo Usa. E con l'amministrazione Trump non sono certo migliorate, anzi.
Per questo, dovrà fare un po' da pontiere, anche perché, nelle parole che ha speso in anteprima su Repubblica, si evince per l'ennesima volta che c'è una distanza non solo tra la Roma d'Oltretevere e la Casa Bianca, ma anche tra cio' che pensa il Papa e lo stesso alto clero vaticano.
Basta leggere il titolo di Repubblica all'intervista a tutta pagina che dedica a Pietro Parolin per rendersene conto:
Insomma, niente Nato che abbaia ai confini russi; niente imperialismi storici da rivangare; né tantomeno bandiere bianche da sventolare. Il succo, Parolin lo spiega alla domanda di Scaramuzzi: Kiev dovrebbe rinunciare all'integrità territoriale? Giudica opportuno che i Paesi occidentali continuino ad inviare armi e prevedano un più diretto coinvolgimento militare in Ucraina?
è la prima frase della risposta di Parolin. Ma attenzione al soggetto: "Santa Sede", no "Papa Francesco". Per un'intervista che sarà stata passata e ripassata al microscopio prima di ricevere l'ok per la pubblicazione, una scelta quanto mai significativa.
In ogni caso, Parolin ha continuato a rispondere alla domanda su Kiev in questo modo:
E insomma: una linea politica ben diversa da quella che il Pontefice ha lasciato intendere in più occasioni.
Sta di fatto che Pietro Parolin, nella stessa risposta data a Repubblica, ha continuato il ragionamento fino ad arrivare anche al nodo cruciale delle armi:
Ecco il punto della Chiesa oltre Bergoglio: "Sarebbe disumano togliere agli ucraini il diritto di difendersi".
Questa stessa Chiesa, c'è da sottolineare, è impegnata anche nella corsa contro il tempo per salvare i bambini ucraini rapiti dai russi.
Ad inizio aprile, la diplomazia che ha visto protagonista anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi, ne ha riportato alle loro famiglie altri undici dopo che ne sono stati salvati 1.243. In tutto, però, stando ai numeri del Centro regionale per i diritti umani di Kiev (condivisi anche dalle associazioni umanitarie occidentali), sarebbero ben 19546 i bambini da zero a 17 anni rapiti nelle zone occupate dai russi e deportati. Strappati ai loro affetti, la via Crucis per loro è tutti i giorni.