09 May, 2025 - 12:15

Peppino Impastato perché fu ucciso? I cento passi dopo il depistaggio dei carabinieri

Peppino Impastato perché fu ucciso? I cento passi dopo il depistaggio dei carabinieri

Quarantasette anni fa, veniva ucciso Peppino Impastato: giornalista, attivista, politico di Democrazia Proletaria, una sigla della galassia di estrema sinistra che faceva proseliti negli anni Settanta. Ma Peppino era soprattutto figlio di un mafioso e per questo fu soprattutto un ribelle. Prese subito le distanze dal padre e decise di combattere Cosa Nostra fino all'estrema conseguenza.

Peppino, infatti, fu ucciso quando aveva trent'anni dalla cosca della sua città: Cinisi, vicino Palermo. Era la cosca guidata dal boss Tano Badalamenti e di cui faceva parte anche il padre, Luigi.

Sta di fatto che ci sono voluti ben 23 anni per fargli avere giustizia in un'aula di tribunale italiano.

In un primo periodo, era passato per buono il depistaggio architettato dalla mafia secondo cui Peppino era rimasto vittima di un attentato che lui stesso stava preparando lungo una linea ferroviaria: la bomba che stava piazzando esplose improvvisamente e lo investì in pieno, questa fu la versione inquinata dei fatti.

Eppure, gli indizi che portavano alla vera verità, vale a dire che Impastato fu attirato in una trappola e ammazzato dai sicari mafiosi, erano di tutta evidenza sulla scena del delitto.

Chi e perché, allora, non volle vederli?

Peppino Impastato ucciso dalla mafia, ma perché la verità fu nascosta?

Peppino Impastato, rampollo di una famiglia mafiosa da cui prese subito le distanze, fu ritrovato il 9 maggio 1978 senza vita lungo la linea ferroviaria che collega Cinisi con Palermo: il suo corpo era smembrato dall'esplosione di una bomba.

I carabinieri però, curiosamente, trovarono le mani e gli occhiali intatti, un elemento che avrebbe dovuto quantomeno far porre una domanda: com'era possibile che un "bombarolo" fosse finito vittima dell'ordigno che stava piazzando ma era rimasto con le mani intatte?

Evidentemente, la loro verità, i carabinieri, l'avevano precostituita: conclusero subito che si era trattato di un incidente, il fallito attentato di un terrorista rosso a cui l’ordigno era esploso in mano.

Così, la mistificazione costruita a tavolino il 9 maggio 1978 ha retto per ben 23 anni, fino al 2001, quando un tribunale finalmente decretò la verità: Peppino Impastato fu ucciso dalla cosca di Tano Badalamenti. I suoi assassini furono coperti fino a quel momento anche dalle omissioni dei carabinieri intervenuti sul posto.

La vera verità, quindi, è venuta fuori solo grazie all'impegno degli amici, dei fondatori del centro di documentazione a lui dedicato, degli avvocati, dei medici legali, dei responsabili di Democrazia Proletaria che non avevano mai dubitato di Peppino: era impossibile che stesse preparando un attentato. Molto probabile, invece, che la mafia l'avesse ucciso.

Così, sebbene molto in ritardo, ad essere condannati per il suo omicidio furono Tano Badalamenti, riconosciuto come il mandante, e Vito Palazzolo, Nino Badalamenti e Francesco Di Trapani, gli esecutori.

La memoria in pericolo

Il corpo di Peppino Impastato, come detto, fu ritrovato il 9 maggio 1978, nello stesso giorno in cui l'Italia fu stravolta da un altro omicidio: quello ad opera delle Brigate Rosse del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Il corpo dello statista fu fatto ritrovare proprio quel giorno dai terroristi, dopo 55 giorni di prigionia.

Anche dal punto di vista mediatico, quindi, la fine di Peppino Impastato rischiava di essere ben presto archiviata. Ma i suoi compagni non si arresero mai, neppure sotto questo profilo.

La sera dell’8 maggio 1978, Peppino aveva lasciato i locali di Radio Aut alla guida della sua 850. Lungo la strada, fu attirato in un tranello e fu condotto fino a un casolare ferroviario a ridosso dei binari. Lì fu certamente tramortito: su una sedia e a terra, i suoi amici ritrovarono macchie di sangue. Così come su una pietra. Il sangue era compatibile con quello di Peppino. Ma per i carabinieri era sangue mestruale.

Il riscatto con la sentenza e il film

Per avere giustizia, Peppino Impastato dovette attendere 23 anni. Ma nel 2000, in un certo qual modo, rinacque ed ebbe il suo riscatto anche mediatico grazie al film di Marco Tullio Giordana "I cento passi" che, tra l'altro, conquistò il Festival di Venezia con Luigi Lo Cascio protagonista.

 

Da allora, Peppino Impastato è diventato un simbolo dell'antimafia, al pari dei giudici Falcone e Borsellino. 

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Giovanni Santaniello
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