Il femminicidio è l’atto estremo di un sistema di violenze radicato nella società, spesso legittimato o minimizzato da strutture sociali, culturali e, negli ultimi anni, anche digitali. In Italia, centinaia di donne vengono assassinate da partner, ex-partner o familiari, spesso in contesti segnati da anni di abusi, controllo ed isolamento. Non si tratta mai di "crimi passionali’", come spesso si legge nei titoli dei giornali, ma di gesti intenzionali di supremazia, in cui la donna viene vista come proprietà.
Il femminicidio è l’espressione più brutale di una violenza di genere che si manifesta in abusi psicologici, fisici, economici e sessuali. È il prodotto di una cultura patriarcale che, ancora oggi, impone alla donna un ruolo subordinato, pretendendo obbedienza, sottomissione, devozione, e punendola- anche con la morte- quando osa ribellarsi, denunciare, lasciare o rivendicare la propria libertà.
Questa cultura continua ad infiltrarsi nelle relazioni affettive, nella narrazione mediatica e persino in alcune istituzioni. Dipinge la donna come ‘’debole’’, ‘’fragile’’, o peggio, come una ‘’provocatrice’’, colpevole della rabbia e della violenza dell’uomo. Una narrazione che deresponsabilizza l’aggressore, giustifica il controllo e normalizza l’abuso. Il femminicidio non è un raptus: è l’ultimo atto di un sistema che educa al dominio e tollera la violenza.
Dal virtuale al funerale I media spesso manipolano la realtà con titoli come ‘’delitto passionale’’ o ‘’uccisa per amore’’, che spostano l’attenzione dalla responsabilità del carnefice alla dinamica della relazione, come se la gelosia fosse una giustificazione anziché un’aggravante.
Negli ultimi anni, il web ha dato visibilità a sottoculture tossiche che – direttamente o indirettamente- aumentano la cultura della violenza di genere. Nuove forme di misoginia, spesso velate da una patina pseudo-filosofica o ‘’scientifica’’. Movimenti come INCEL (involuntary celibate) e REDPILLED (termine ripreso dal film Matrix ma stravolto in chiave misogina) raccolgono uomini frustrati, arrabbiati con le donne e con la società, che trovano in dei forum e sui social media la legittimizzazione al loro rancore.
Gli Incel si definiscono ‘’celibi involontari’’ e accusano le donne di rifiutarli per superficialità, alimentando un senso di vittimismo tossico che in diversi casi è sfociato in atti di violenza concreta. I Redpilled sostengono di aver ‘’aperto gli occhi’’ sulla congettura che la donna è di natura opportunista e manipolatrice.
Un’idea tossica e retrograda di mascolinità accomuna entrambi i movimenti, ove il controllo sulla donna è individuato come legittimo ma soprattutto come diritto naturale. In queste community le donne sono metodicamente delineate come esseri inferiori, manipolatrici, interessate solo al denaro e allo status sociale. Chi non riesce ad istaurare relazioni sentimentali viene spinto a coltivare odio e risentimento, in un diallelo che legittima violenza verbale e fisica.
Nonostante la maggior parte di tali utenti si limiti all’odio online non mancano i casi in cui questa furia sia esplosa nel mondo reale, con conseguenze devastanti. Zero compromessi: come fermare il femminicidio e le ideologie tossiche che lo giustificano? La prevenzione- nella lotta al femminicidio- è il punto di partenza. Ma come?
Introduciamo l’educazione affettiva fin dalle scuole, sostegno alle vittime, formazione delle forze dell’ordine e della magistratura. Un cambiamento culturale che riguardi anche gli uomini; serve una nuova idea di mascolinità non basata sul possesso o sul potere ma sull’ascolto, il rispetto e la parità. È necessario insegnare il rispetto reciproco, parlare apertamente di affettività, di consenso e di relazioni sane. Riflessioni finali Il femminicidio è l’esito tragico di un lungo cammino fatto di micro-violenze, pregiudizi, silenzi e stereotipi. Solo attraverso un’azione collettiva, consapevole e determinata si può sperare di interrompere questo ciclo, restituendo dignità e libertà a tutte le donne, e recuperando un senso di umanità anche per quegli uomini che, oggi, nella rabbia o nella solitudine, scelgono l’odio al posto del dialogo.
A cura di Erika Marino