L'Italia ribadisce che non c'è una maggioranza parlamentare per ratificare il Mes. Allo stesso tempo torna a chiedere la proroga dell'attuazione del Pnrr oltre il 2026. Due dossier tecnicamente slegati ma che nella pratica potrebbero avere un collegamento. Sul Mes, per l'ennesima volta, ieri nel corso dell'Eurogruppo è stato chiesto al ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti se e quando l'Italia (unico Stato che ancora non l'ha fatto) approverà la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Altrimenti, ha avvertito il presidente dell'Eurogruppo Paschal Donohoe, "i fondi che abbiamo a disposizione per aiutarci a gestire le difficoltà bancarie non possono essere incrementati dai prestiti concessi dal Mes". Tutto vero, ma non ci sono i numeri, ha replicato il titolare del Mef. E questo è stato del resto già certificato con il voto della Camera del 21 dicembre 2023 con cui fu respinta la ratifica del trattato. Da allora le posizioni non sono cambiate. Oggi per la Lega, addirittura, l'Italia dovrebbe chiedere indietro la quota versata al fondo.
Per Forza Italia invece, spiega Antonio Tajani (un po' a disagio per una posizione italiana ben diversa da quella del Ppe) la ratifica non è "una priorità" ma "non siamo contrari per principio" se vengono risolti i "dubbi sulla carenza di controlli". In questa situazione della maggioranza, Giorgia Meloni non spinge certo per l'approvazione del Meccanismo. Anzi. Più volte ha detto di ritenere lo strumento "inadeguato", assicurando che l'Italia "non vi accederà mai finchè sarò al governo". Del resto può contare sul fatto che nessuno può costringere l'Italia a 'firmare': il Mes è uno strumento intergovernativo che richiede l'unanimità e dunque la pressione su Roma può limitarsi alla moral suasion, al limite paventando un danno reputazionale o qualche conseguenza su altre partite. Al contrario, tenere aperta la questione potrebbe servire per usare il Mes come mezzo di pressione o moneta di 'scambio'.