21 May, 2025 - 09:29

Sempre in ritardo: la corsa invisibile della generazione Z

In collaborazione con
Erika Marino
Sempre in ritardo: la corsa invisibile della generazione Z

C’è una generazione che corre senza sapere dove, con il fiato e il cuore in gola. Una generazione che si sveglia ogni giorno con la sensazione di essere già in ritardo, anche se la giornata è appena iniziata. Sono i giovani di oggi, la generazione Z, che vivono con l’ansia di non essere mai abbastanza, di non fare abbastanza, di non arrivare in tempo.

Tra ansia da prestazione, FOMO e aspettative tossiche, i giovani si sentono perennemente in ritardo nella vita. Ma chi ha deciso il ritmo di quella corsa?

24 anni e già in crisi 

È una corsa che non ha né linea di partenza né traguardo, ma che molti giovani sentono di dover vincere ogni giorno. È la corsa contro il tempo, le aspettative e la perfezione. Una maratona invisibile che lascia un senso di inadeguatezza e stanchezza cronica. Viviamo in un’epoca in cui il confronto è costante e inesorabile!

Cresciuta nell’era dei social media, la Gen Z, è costantemente sottoposta a contenuti che mostrano vite perfette, carriere fulminanti, successi precoci. Ogni scroll è un confronto: chi ha la relazione perfetta, chi ha già il lavoro dei sogni, chi ha comprato casa. E tu? Ancora cerchi di capire che cosa vuoi fare! E così, a 24 anni, c’è chi si sente fuori tempo massimo. Ma rispetto a cosa? A chi? Chi ha stabilito le tappe obbligatorie della vita?

Gen Z e l'ansia da prestazione 

Questa pressione spesso si traduce in ansia da prestazione, un disturbo sempre più condiviso fra gli studenti e i giovani lavoratori.

Secondo un’indagine 7 universitari su 10 percepiscono una forte pressione legata alle aspettative esterne. Invece, 6 giovani lavoratori su 10 soffrono di disagi emotivi dovuti alla pressione sociale. Inoltre, è stato dimostrato che la Gen Z è più ambiziosa del 29% rispetto ai Millenials.

Il paradosso del sistema

E poi c’è la FOMO,’’Fear of missing out’’, la paura di perdersi qualcosa. Che spinge a essere sempre connessi, sempre presenti, sempre aggiornati. I social media alimentano quest’ansia, mostrando ciò che gli altri stanno facendo, vivendo e ottenendo. Questo porta a una dipendenza da smartphone ed a un seno di esclusione sociale, con conseguenze negative sulla salute mentale. 

Il paradosso? La società pretende giovani ultra-specializzati, formati all’ennesima potenza — ma poi li scaraventa in un mercato del lavoro fatto di stage infiniti, contratti a tempo determinato e stipendi da fame. Ti chiedono l’eccellenza, ma ti offrono instabilità. E così cresce quella frustrazione sottile, quella sensazione di star rincorrendo qualcosa che si allontana ogni volta che ti avvicini. Ti senti in ritardo, ma forse è il mondo che ha sbagliato orologio. 

virgolette
 Fuori tempo? No, solo una generazione che riscrive le regole del percorso

Il problema non siamo noi. Il problema è un sistema che ci chiede di essere pronti prima ancora di capire chi siamo. Che ci spinge a correre una maratona infinita con le gambe ancora molli e la testa piena di “dovresti”.

Dovresti laurearti in tempo. Trovare lavoro in fretta. Avere idee chiare, obiettivi solidi, un piano. E se non ce l’hai? Sei “indietro”. Etichettato, sorpassato, già fuori gioco.

virgolette
Io ho 24 anni. E no, non ho tutte le risposte. Ma ho smesso di credere che servano per iniziare a vivere davvero. Ho smesso di misurarmi con i successi altrui filtrati da uno schermo. Perché dietro a ogni “ce l’ho fatta”, spesso c’è una storia fatta di dubbi, ansia, fatica. Proprio come la mia. Proprio come la tua. Non siamo in ritardo. Siamo nel mezzo. E magari è proprio qui che succede la parte più vera della vita. Ecco perché vale la pena parlarne — e continuare a farlo. Perché se non cambiamo la narrazione, finiremo tutti a rincorrere traguardi che non abbiamo mai scelto. 

A cura di Erika Marino

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