Il caso Garlasco si riaccende con nuove ipotesi investigative e polemiche che continuano ad alimentare dubbi e dibattito pubblico. Nel corso della trasmissione “Quarta Repubblica” dell’8 settembre 2025, esperti e protagonisti del processo hanno ridiscusso i punti fondamentali e i dettagli emergenti sulla scena del crimine in cui perse la vita Chiara Poggi. Proprio Antonio De Rensis, avvocato da sempre in prima linea nella difesa di Alberto Stasi, ha rilanciato interrogativi pesanti: “Stasi in galera da 10 anni, ma dove ha preso l’arma?”.
Ogni dettaglio della casa di Chiara Poggi torna sotto la lente d’ingrandimento. Secondo le ultime analisi investigative, uno degli assassini sarebbe probabilmente entrato in bagno, lasciando dietro di sé un’impronta insanguinata sul tappetino davanti allo specchio. Questo particolare riapre il capitolo sulle tracce biologiche e sulle impronte digitali, già tema centrale nel primo processo.
Sulla scena, anche l’impronta di Stasi sul dispenser, ma senza riscontro di tracce di sangue né nel sifone né sul dispenser stesso. De Rensis sottolinea inoltre che il lavandino era “fisiologicamente sporco”, con presenti addirittura capelli, segno di una pulizia superficiale e casuale.
Da qui l’ipotesi che l’impronta di Stasi possa essere stata lasciata la sera precedente, dopo una serata in cui lui e Chiara avevano mangiato la pizza insieme. Il magistrato Stefano Vitelli, che aveva assolto Stasi in primo grado, ribadisce che “l’alibi informatico” del giovane era stato verificato: nelle ore centrali della mattina, Stasi lavorava davvero alla sua tesi, con continuità e regolarità nei salvataggi al computer, dimostrando di essere impegnato nella propria abitazione.
Il dibattito si è acceso proprio sul principio del ragionevole dubbio, cardine del processo penale: in caso di incertezza multidirezionale, mettere in carcere un innocente sarebbe più grave che lasciare libero un colpevole. “Meglio avere un colpevole fuori” – ha ribadito Vitelli, in linea con De Rensis, che continua a sollevare dubbi sulla dinamica omicidiaria: “Alberto dorme in galera da 10 anni. Noi abbiamo una sentenza nella quale si dice che questo è un delitto d’impeto: se non c’è la premeditazione, l’arma dove è stata presa?”.
La questione dell’arma del delitto resta infatti uno dei punti più oscuri e controversi di tutto il caso. Se l’omicidio non fosse stato premeditato, come presunto dalla sentenza, resta difficile spiegare dove e come sarebbe stato reperito lo strumento mortale in pochi minuti. Questi interrogativi, insieme a nuovi e vecchi indizi, spingono la Procura a voler chiarire ogni aspetto e a proseguire l’incidente probatorio ancora almeno fino a ottobre, con una possibile proroga secondo gli esperti intervenuti.
Nel corso della trasmissione, è emersa anche l’ipotesi che sulla scena del delitto possano esserci state più persone. La presenza di impronte non attribuite e tracce biologiche non riconducibili né a Chiara né a Stasi alimenta teorie sull’eventuale coinvolgimento di uno o più complici, oppure di un altro assassino. Questa pista dà nuova linfa all’indagine che, dopo il riapertura voluta dalla Cassazione, vede oggi indagato Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Secondo la difesa, molte delle tracce che in passato hanno condannato Stasi sarebbero ora considerate irrilevanti per altri potenziali indagati, evidenziando incongruenze che la giustizia dovrà chiarire.
Il cosiddetto “alibi informatico” che aveva sostenuto la difesa di Stasi riceve nuove conferme anche grazie agli accertamenti dei consulenti del giudice Vitelli. Analisi sui salvataggi dei file, sulle tempistiche delle telefonate con la madre e sulla routine di Alberto prima del 13 agosto 2007 chiudono la porta a molte ipotesi accusatorie. Tuttavia, la Procura continua a scavare tra DNA, impronte e testimoni, sottolineando che la verità sul delitto di Garlasco è ancora lontana.