15 Sep, 2025 - 15:10

Delitto di Garlasco, il nuovo fronte della battaglia genetica sull'impronta 33

Delitto di Garlasco, il nuovo fronte della battaglia genetica sull'impronta 33

Nel lungo e complesso iter giudiziario del delitto di Garlasco, che vede Alberto Stasi condannato per l’omicidio di Chiara Poggi, torna a infiammarsi il dibattito scientifico tra genetisti legati alle diverse parti del processo. Al centro dell’attenzione, ancora una volta, la cosiddetta “impronta 33”, traccia controversa che secondo la difesa di Stasi potrebbe rappresentare la chiave per riscrivere la storia del caso.

Le ultime dichiarazioni dei consulenti di parte – il genetista Pasquale Linarello da una parte e Marzio Capra dall’altra – hanno riaperto il confronto sulle interpretazioni della prova, evidenziando divergenze profonde e vere e proprie schermaglie scientifiche.

L’impronta 33: storia e analisi

L’impronta numero 33 fu rilevata sulla parete del disimpegno che collega la zona giorno alla cantina della villetta di via Pascoli 8, teatro del delitto di Chiara Poggi il 13 agosto 2007. Secondo le più recenti ricostruzioni, la procura di Pavia attribuisce questa impronta ad Andrea Sempio, amico di famiglia e del fratello della vittima, sulla base di analisi dattiloscopiche condotte all’epoca.

Tuttavia, la difesa di Stasi è convinta che il dato non sia definitivo e pone l’accento su alcune peculiarità della traccia rilevata, che per Linarello sarebbe compatibile con la presenza di sangue e quindi potenzialmente riconducibile direttamente all’assassino.

Linarello sottolinea come la “impronta 33” sia “l’unica traccia su quel muro che dà anche una reazione differente rispetto alle altre tracce alla ninidrina”, sostanza che serve per evidenziare tracce biologiche di natura organica come il sangue. Il consulente sostiene che la reazione violacea e la particolare intensità cromatica della traccia evidenzino la presenza di materiale potenzialmente ematico, pur senza dare una conferma assoluta della provenienza.

A suo avviso, ciò che conta è la modalità con cui la mano ha lasciato la traccia: “Non è detto che l’autore avesse mani grondanti di sangue, magari si è pulito frettolosamente e ha premuto sul muro lasciando un’impronta intensa, poi spalmandosi le creste papillari del derma”.

La posizione della famiglia Poggi e la replica di Capra

Su questa interpretazione si inserisce il netto dissenso di Marzio Capra, genetista consulente della famiglia Poggi, vera controparte scientifica del team difensivo di Stasi. Capra non risparmia critiche a Linarello, richiamando la mancanza di “materialità analitica” della traccia, citando anche il primo consulente della difesa Stasi, Francesco Maria Avato, che già aveva respinto analisi ulteriori.

“Possiamo anche inventarci o sostenere che vedremo un asino volare”, afferma Capra con ironia e fermezza, ribadendo che nessuna analisi ad oggi ha fornito riscontro certo della presenza di sangue nella traccia 33. L’esperto ricorda che i test effettuati (come l’Obti test, specifico per rilevare sangue umano) hanno dato esito negativo. Inoltre, le condizioni chimiche della parete e l’azione della ninidrina, secondo Capra, non bastano a ritenere la traccia determinante per l’attribuzione di responsabilità penale e per riaprire la dinamica dell’omicidio nei confronti di Sempio.

Semplificazioni, tecnologie e nuove analisi

Al di là della guerra di perizie, rimane la difficoltà pratica di procedere con nuovi accertamenti: la fialetta contenente il ‘grattato’ dei campioni originari infatti non è stata rinvenuta nelle recenti ispezioni, rendendo impossibile l’estrazione di nuovo Dna biologico dalla traccia 33. Anche le nuove tecnologie, pur più avanzate rispetto al 2007, non possono supplire all’assenza di materiale originario. Di conseguenza, resta solo il confronto tra le tesi dei consulenti e l’incertezza su una delle prove chiave del mistero di Garlasco.

 

LEGGI ANCHE