01 Sep, 2025 - 19:31

Vaccino Covid, la verità nascosta su Camilla Canepa che poteva essere salvata

Vaccino Covid, la verità nascosta su Camilla Canepa che poteva essere salvata

La morte di Camilla Canepa, la giovane ligure di 18 anni deceduta il 10 giugno 2021 dopo la somministrazione della prima dose del vaccino Covid AstraZeneca, rimane una delle ferite più profonde e scomode della campagna vaccinale italiana.

Nelle scorse settimane, nuovi documenti e testimonianze hanno evidenziato che la ragazza si sarebbe potuta salvare se soltanto le cure e i protocolli già elaborati per gestire la cosiddetta Vitt – la trombosi trombocitopenica indotta da vaccino – fossero stati applicati.

Enrico Haupt, ex primario dell’ospedale di Lavagna ed esperto vaccinatore, aveva infatti predisposto un protocollo clinico chiaro e di semplice applicazione: riconoscere i sintomi della Vitt, effettuare subito gli esami specifici e avviare tempestivamente la terapia con immunoglobuline.

Un percorso che avrebbe potuto essere attuato in qualsiasi pronto soccorso, ma che invece è rimasto intrappolato nella lentezza e nell’inerzia burocratica della Regione Liguria. Il protocollo, consegnato già il 13 aprile 2021, non fu diffuso in modo operativo fino al 27 maggio, due giorni dopo la vaccinazione di Camilla.

Morte Camilla Canepa, il nodo della responsabilità: istituzioni e medici sotto accusa

La morte di Camilla ha portato all’indagine della Procura di Genova e all’apertura di un procedimento contro cinque medici dell’ospedale di Lavagna, rei – secondo l’accusa – di non aver seguito le linee guida cliniche regionali per il trattamento della Vitt.

Quattro sanitari sono stati indagati per omicidio colposo, accusati di non aver sottoposto Camilla a tutti gli accertamenti previsti dal protocollo, mentre a tutti e cinque viene contestato il falso ideologico per non aver dichiarato in cartella clinica l’avvenuta vaccinazione anti-Covid.

Le indagini hanno accertato che Camilla non aveva patologie pregresse né assumeva farmaci. La morte per trombosi con trombocitopenia, affermano i giudici e i medici legali, è ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso del vaccino AstraZeneca.

Gli errori della campagna vaccinale e il ruolo della politica

Le autorità italiane, a differenza di quelle di altri paesi europei, tardarono nel limitare la somministrazione del vaccino AstraZeneca agli over 60, scegliendo invece di promuovere l’inoculazione anche tra i giovani con iniziative mediatiche come l’Open Day cui partecipò Camilla.

Già dal mese di marzo 2021 erano giunte raccomandazioni dall’EMA e da AIFA sul rischio di trombosi, ma il messaggio non raggiunse mai i pronto soccorso in modo capillare.

Quando Camilla si presentò al San Martino di Genova con i sintomi tipici della Vitt, il protocollo esisteva ma non venne applicato. La giovane fu dimessa con una diagnosi di cefalea, mentre il trattamento di immunoglobuline previsto in caso di trombosi non fu mai avviato. Il peggioramento fu rapido e drammatico: pochi giorni dopo, Camilla morì nonostante due interventi chirurgici disperati.

Archiviazione e polemiche: la verità negata

La giudice per le indagini preliminari di Genova ha archiviato a inizio 2025 l’inchiesta sui medici, stabilendo il non luogo a procedere perché "il fatto non sussiste".

Il protocollo era noto, ma non era operativo e la catena di responsabilità si è dissolta nella nebbia burocratica e giudiziaria. L’episodio di Camilla resta così emblematico della gestione opaca e controversa delle campagne vaccinali, del rapporto problematico tra politica, medicina e informazione – e del prezzo pagato da una famiglia e da una generazione in nome della "sicurezza collettiva".

 

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